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Generazione Italia attacca la Rai e lancia la propria provocazione

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Basta,infatti, accedere al sito della fondazione legata alle posizioni del presidente della Camera, per leggere, su un grande manifesto tricolore, la seguente scritta: «Fuori i partiti dalla Rai. Basta pagare il canone Rai. Un impegno per il Futuro. Una battaglia per la Libertà». Una specie di disobbedienza mascherata dietro una proposta di legge a cui fanno riferimento gli ideatori del manifesto. Un testo dal titolo Privatizzare la Rai. Conviene. È giusto. Si può. dove vengono spiegate le motivazioni che avrebbero spinto il gruppo di fedelissimi del presidente Fini a lanciare una vera e propria campagna contro il pagamento del canone: «Sapete che la Rai è un'azienda patrimonialmente sanissima? - spiega un articolo a commento della proposta di legge - Non un euro di debito. E la cosa è strana, se si pensa che il debito è la principale fonte di finanziamento per le aziende che vogliono crescere, investire, innovarsi. Ma la tv pubblica italiana è cosa diversa, si chiama azienda ma opera in un non-mercato, dalla pubblicità ricava ciò che può. Il resto – continua l'articolo – lo prende dal canone». Un duro attacco alla televisione che, leggendo invece la proposta di legge del gruppo parlamentare di Futuro e Libertà, «si trova in una condizione di “immobilità declinante”». Immobilità che, sempre secondo Fli, è dovuta all'impossibilità di avere «margini di crescita possibili sulla raccolta pubblicitaria ed obiettivi di mercato perseguibili. La Rai è stata ancor più “catturata” dalla politica, che ha scaricato sull'azienda il costo delle proprie clientele e dei propri interessi specifici». Interessi dei quali, negli ultimi tempi, nemmeno il presidente della Camera sembra aver disdegnato tanto che basta scorrere a ritroso le agenzie di stampa per trovare in data 12 maggio 2009 un retroscena che vedeva contrapposti Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini proprio sulle nomine Rai: «L'impasse sulle nomine Rai - cita un'Ansa di quel giorno - sarebbe determinato dal braccio di ferro sulla poltrona del Tg1, con il nome di Augusto Minzolini (voluto dal premier, ndr), mentre il presidente della Camera avrebbe voluto, in prima battuta, per quel ruolo, Mauro Mazza, direttore del Tg2. L'attenzione dei due leader si sarebbe poi spostata sulla direzione di Raiuno, per la quale Fini, in seconda battuta, avrebbe visto bene ancora Mazza». Come è noto, per buona pace di entrambi, Minzolini è diventato direttore del Tg1 e Mazza di Raiuno. Eppure ora Fini, per voce dei suoi fedelissimi di Generazione Italia, attacca la «pluridecennale storia di occupazione politica manu militari (da parte di quasi tutti, beninteso, radicali esclusi) della tv pubblica» spiegando come «le vicende degli ultimi mesi sono lì a testimoniare quanti danni possa arrecare al sistema dell'informazione e al pluralismo delle idee e delle posizioni politiche un moloch partitocratico ormai tanto "inquinato"». La crociata quindi è iniziata. Ora Fini e company vogliono passare all'incasso con il nobile intento di evitare che «tra 5 o forse 10 anni - come riporta il finiano Benedetto Della Vedova, si sia costretti a svendere la Rai». E poi, perché non approfittare della ghiotta occasione per cavalcare l'onda anti-canone? Dopotutto quello è un caro e vecchio tema, sostenuto, a fasi alterne, da destra e da sinistra, che di sicuro non troverà sfavorevole il giudizio dell'opinione pubblica.

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