Fli rimanda lo sgambetto sul Lodo
Assediati dai fans che li bersagliano su internet, presi in giro dal mondo politico che li dipinge come voltagabbana e ossessionati dalla paura di perdere la faccia, i «futuristi» corrono ai ripari. E fanno marcia indietro. Fingono di alzare la voce sulla riforma della giustizia. Ma soprattutto, e forse è questo l'aspetto più complesso, rimettono in discussione il testo sul lodo Alfano costituzionale (sul quale, a dire il vero, c'era già un accordo con il Pdl). Ecco allora che Fli pensa di reintrodurre la norma per impedire la corsa al Quirinale di Berlusconi. Come? Rendendo non reiterabile lo scudo giudiziario. Tanto è vero che dopo il voto negativo di ieri all'emendamento presentato dal Pd in commissione Affari Costituzionali del Senato che introduceva il divieto per il presidente della Repubblica o per quello del Consiglio di avvalersi dello "scudo" nel caso di reincarico, il commissario di Fli, Maurizio Saia, ingrana più volte la retromarcia: «Ho votato contro perché in quel testo c'era di tutto e di più. Al tempo stesso posso però confermare che i "veri" emendamenti che parlano di non reiterabilità li affronteremo martedì prossimo. Due testi presentati da Udc e Idv sui quali noi di Fli stiamo ragionando come votare non escludendo, al contempo, di presentarne uno nostro che vada nella medesima direzione». Un'ipotesi, questa, che confermerebbe quanto scritto già ieri da Il Tempo a riguardo di un possibile avvicinamento tra Udc e finiani sulle questioni legate al Lodo. Eppure anche la ghiotta occasione di un appoggio «futurista» a un emendamento che renderebbe difficile l'ascesa al Colle di Berlusconi, potrebbe vanificarsi se, come qualche finiano ipotizza, Fini e il Guardasigilli Alfano si fossero già accordati per bloccare ogni possibilità di modifica al Lodo. Un'eventualità che gli stessi «futuristi» scongiurano dato che potrebbe rischiare di alimentare altre critiche da parte dei sostenitori di Fini già delusi dal partito sia per aver sostenuto la retroattività del Lodo Alfano sia per aver negato l'autorizzazione a procedere nei confronti dell'ex ministro Lunardi indagato per corruzione. Ecco allora che la strategia «futurista» torna a concentrarsi tutta su quello che, fin dall'inizio, Fini aveva considerato uno dei suo più importanti cavalli di battaglia: la legalità. Il vero banco di prova diventa, così, la riforma della giustizia sulla quale ieri Fini ha voluto confrontarsi con i capigruppo di Camera e Senato, Italo Bocchino e Pasquale Viespoli, e i coordinatori regionali del partito. Una riunione iniziata con l'avvocato Giulia Bongiorno che ha illustrato la bozza sulla riforma che le è stata consegnata e sulla quale si sono manifestare quelle che Fabio Granata ha definito «le valutazioni estremamente critiche» dei finiani sui tre punti considerati, «inaccettabili»: le nuove funzioni e la composizione a maggioranza laica del Csm; i nuovi poteri conferiti al ministro della giustizia e la nuova collocazione della polizia giudiziaria non più alle dirette dipendenze della magistratura. Un vero e proprio scatto d'orgoglio di Futuro e Libertà che torna, in questo modo, ad alzare la voce sul tema della legalità e che evidenzia come sulla giustizia «non tutto è risolto». Altra questione che rimane aperta e sulla quale si è discusso quasi a margine del vertice di ieri è stata l'organizzazione del gruppo: la macchina, che porterà alla trasformazione di Futuro e Libertà in un vero e proprio partito, è ormai in moto e, forte della ritrovata spinta legalitaria, non si fermerà più. L'annuncio ufficiale, previsto per l'ultima settimana di gennaio, è ormai dietro l'angolo e, tra voci e smentite, continuano a rincorrersi dei rumors che vorrebbero parlamentari pronti a emigrare verso il partito dei fedelissimi del presidente della Camera.