Due poltrone per Draghi
Mario Draghi è in rimonta nella corsa alla guida della Banca centrale europea. Non ha colmato il gap che lo separa da Axel Weber, numero uno della Bundesbank, ma le sue chance sono aumentate. Oggi il governatore di Bankitalia, romano 63enne, ha dalla sua due fattori. Il primo sono le intemperanze verbali e strategiche di Weber, un rigorismo teutonico all'ennesima potenza che molti temono verrebbe imposto all'Europa. Il secondo è la guerra valutaria tra dollaro, yuan cinese ed euro, una guerra che Weber enfatizza e Draghi minimizza. Ecco gli antefatti: il presidente americano Barack Obama, in difficoltà con le elezioni di mid term del 2 novembre, sta facendo il possibile per pompare l'economia Usa. E la Fed, la banca centrale federale, gli dà una mano: Ben Bernanke, debitore ad Obama della riconferma, annuncia che gli stimoli a banche ed imprese proseguiranno ed i tassi resteranno bassi. Tutto ciò produce una nuova svalutazione del dollaro, che aiuta le esportazioni americane e irrita Pechino. Alla Cina, Obama e Bernanke chiedono di rivalutare lo yuan, ormai concorrente su scala globale. Pechino (che ha in mano un terzo dei bond del Tesoro di Washington e non è particolarmente soddisfatta) ribatte che la crisi è nata in Occidente, e lì va risolta. Le altre potenze emergenti, Brasile e India in testa, spalleggiano la Cina temendo che l'afflusso di dollari a basso prezzo produca inflazione e deprima il tenore di vita dei loro paesi in pieno decollo. L'euro, stretto nella morsa al ribasso tra dollaro e yuan, vola. Con minori problemi per le industrie tedesche, che riescono ad esportare grazie alla superiorità tecnologica (il surplus commerciale, nonostante un lieve calo, viaggia intorno ai 10 miliardi di euro). E grane più gravi per Francia, Italia, Spagna, Gran Bretagna. Weber, dunque, che fa? Una settimana fa, a New York, ha accusato i cinesi di «manipolare al ribasso la valuta nazionale». Senonché da giugno è il dollaro ad essersi svalutato del 3 per cento sullo yuan, non viceversa. Rientrato a Francoforte, il capo della Buba ha lanciato un durissimo attacco proprio alla Bce: «Deve smettere di acquistare obbligazioni, scelta sbagliata fin dall'inizio. Ed è ora di mettere mano alla leva dei tassi». Due scelte che potrebbero far schizzare l'euro ancora più sù, deprimendo la già scarsa ripresa europea, senza eccessivi danni per la Germania. Le parole di Weber hanno fatto infuriare Jean-Claude Trichet, presidente francese della Bce in scadenza a novembre 2011. «La Banca centrale non ha bisogno di portavoce. Esiste una sola moneta unica, un solo consiglio direttivo, una sola politica monetaria ed un solo presidente» ha detto con toni inusuali. Subito dopo ha elogiato Draghi: «La sua politica di stabilità del sistema bancario italiano è ammirevole». Ieri il Financial Times ha scritto che «Weber resta favorito, ma Draghi sarebbe un candidato migliore, capace di scelte più equilibrate e condivise». Gli endorsement della stampa contano relativamente, però rispecchiano l'umore del mondo finanziario e forse anche politico. E sotto questo aspetto tutti pensano che sarà decisiva la scelta di Parigi. Draghi non considera una priorità la guerra valutaria, «caso mai c'è un disallineamento ciclico». Opinione, a quanto se ne sa, condivisa da Sarkozy, sempre più insofferente verso l'Europa a trazione tedesca (non solo sull'economia: quando decise l'allontamento dei rom fu censurato da Angela Merkel, salvo trovarsi poche settimane dopo la Cancelliera a decretare la fine della società multietnica), e soprattutto preoccupato per l'export. E dunque per nulla smanioso di trovarsi con un Bismark a dirigere i cambi. L'11 ottobre Draghi è stato invitato all'Eliseo da Sarkò, e le voci di una virata francese verso il candidato italiano si sono infittite. Ma la corsa è ancora lunga e la Francia ha una seconda poltrona in scadenza: quella di Dominique Strauss-Kahn dalla guida del Fondo monetario internazionale. Strauss-Kahn, socialista di lungo corso, vorrebbe dimettersi in anticipo per contendere l'Eliseo a Sarkozy. Se l'Italia riuscirà a inserirsi in questo risiko, Draghi potrebbe rimontare su Weber. Oppure competere per l'Fmi: Washington non vale affatto meno di Francoforte.