Fini detta le regole
«Napoli è bloccata» tuona Enzo Rivellini dal palco, l'eurodeputato organizzatore della manifestazione. In effetti la sala dell'hotel Ramada a Napoli è piena, stracolma. Tanto che bisogna aprire anche un salone attiguo e uno al piano superiore per far entrare tutti. Sono accorsi in tanti per la prima uscita di fronte a un pubblico in carne ed ossa del presidente della Camera dopo Mirabello, e la prima in assoluto dopo l'avvio del nuovo partito, Futuro e Libertà. Partito? Chi ha detto partito? Parola che non si può pronunciare. Fini, in persona, l'altra sera ha chiamato Rivelli per raccomandarsi che nessuno, ma proprio nessuno, si lasciasse scappare quel termine. Nessun partito. La definizione corretta, detta Fini, è «movimento d'opinione organizzato». Una roba complicata, c'è chi fa confusione, non ricorda la dicitura esatta, chi la pronuncia non in ordine esatto. In fin dei conti è anche questa la cifra di Fli, quello che Italo Bocchino sintetizza in una sorta di movimentismo misto a spontaneismo, voglia di politica, fame di politica, e poi un po' gaberianamente: desiderio di democrazia interna e anelito di partecipazione. A Napoli poi s'aggiunge anche un ingrediente fondamentale: il folklore. C'è chi scavalca le file, chi si finge giornalista, chi dice d'essere onorevole, chi si mette a dare ordini alla polizia tanto che un agente sbotta: «Ma se ho dato un ordine ci sarà un motivo legittimo, no?». Insomma, la calca. Che popolo è quello di Fini? Pochi quadri di partito, quelli che si vedono sono soprattutto primideinoneletti o appena trombati. Un po' di vecchio Msi, tanta ex An al punto che proprio Gianfranco rispolvera sul bavero della giacca la vecchia spilletta delle frecce tricolori con cui ci fece la campagna elettorale del '96. E che cosa dice Fini al suo popolo, il suo nuovo popolo? Il suo discorso va diviso in due parti, la prima un po' populista da leader di movimento d'opinione; la seconda da presidente della Camera che dice cose coraggiose, dure, aspre, ferme. Viene a Napoli a dire apertamente che ci sono due categorie di persona che lui non vuole dentro Fli: i parassiti e i delinquenti. In sala c'è anche Alfredo Vito, ex deputato Dc e Fi, che confessò di aver preso una tangente che restituì: se ne va dal Ramada perplesso. Gianfranco spiega che «non ha capito nulla chi dice che Fli è l'ennesimo partitino, vogliamo dare risposte a grandi questioni dove c'è stato un deficit di risposte da parte del Pdl». E azzarda: «Dobbiamo riprendere - ha concluso Fini - quello spirito all'insegna di alcuni valori. In Italia c'è necessità di organizzare un vasto movimento di opinione a fronte dei problemi che ha il Paese». Nel finale sarà più epico e confessa: «Forse siamo stati troppo prudenti, dovevamo farlo prima» questo movimento. «Probabilmente - aggiunge - la prudenza assunta finora è stata tanta e ritengo che non aveva senso attendere ancora come ci consigliavano in tanti. Ribadisco che la politica necessita di un atto di responsabilità e la sua assunzione la devono prendere in tanti italiani per poter respirare un'aria nuova e pulita». In mezzo Fini delinea lo spazio di azione. Non vuole fare una Lega del Sud, anzi vuole lavorare per unire. Vuole un patto generazionale, dare voce ai giovani. E vuole un nuovo patto capitale-lavoro. Quindi apre un lungo capitolo sull'etica pubblica, indubbiamente la parte che il pubblico meno gradisce. Fini spiega la necessità di «sollevare le coscienze», di «rispetto delle regole». Ripete ossessivamente il concetto di legalità mentre in sala c'è seduto il prete anticamorra Luigi Merola. E ne difende un altro, don Manganiello, sfrattato dalla dura Scampia tanto che il presidente della Camera velatamente polemizza con le gerarchie ecclesiastiche che non lo avrebbero protetto fino in fondo. E afferma: «Mi rifiuto di pensare che chi fa tutto intero il suo dovere sia un fesso e chi evade sia un furbo». Infine sentenzia: «Chi cerca un tesserino per una facile carriera vada altrove».