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E i «compagni» ignorano Maricica

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Perconstatare la fine delle identità politiche, la débacle di qualsiasi senso di appartenenza, lo svuotamento delle ideologie non servono saggi di sociologi o di politici. Basta passare un pomeriggio, ieri, dopo pranzo, in un posto ben preciso, dolorosamente ben preciso, di Roma. La stazione Anagnina della metropolitana, il luogo dov'è cominciata l'agonia di Maricica, la donna venuta in Italia dalla Romania per un motivo altrettanto ben preciso: lavorare. Il marciapiede dove l'infermiera è stramazzata dopo il pugno mortale sferrato dal giovane romano è più affollato del solito. Per due opposte correnti di persone. Passano gli operai che vanno in centro, per ingrossare il corteo della Fiom. E arrivano donne, uomini, coppie con un fiore in mano, da lasciare proprio lì, sul pavimento dov'è caduta Maricica. Ebbene, rivedere la scena nelle telecamere a circuito chiuso, quelle che hanno filmato la fine della romena, provocherà una specie di straniamento, un'incapacità di capire. Infatti, gli operai pronti a protestare non tanto per il salario ma semplicemente contro (contro Confindustria e soprattutto contro Berlusconi, sempre e comunque) intruppati e impugnando le bandiere rosse passano come niente fosse accanto a quello piccolo spazio dove un'immigrata, una lavoratrice, una di loro, insomma, ha cominciato a morire. Nello stesso lungo momento una bambina, tenuta per la mano dalla mamma, una romena con un mazzo di fiori per l'infermiera morta, chiede ai genitori: «Ma che cosa sono tutte queste bandiere rosse?». Così va il mondo, adesso. Chi porta il simbolo del comunismo è pronto a gridare i soliti slogan ormai vuoti di senso e se ne infischia della tragedia toccata a una «proletaria». Chi viene da un paese soffocato dal comunismo fino a venti anni fa può permettersi il lusso di guardare avanti dopo aver rimosso tutto. Non ha insegnato alla figlia il valore di certi segni e colori, il passato in patria e magari il dolore e le persecuzioni patiti dai nonni, dagli zii lontani. L'in-coscienza rischia di seppellirci.

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