L'Italia è ferma al 1994
Sto seguendo i fatti italiani da un osservatorio davvero unico, un’università americana (Singularity University) che ha tra i suoi fondatori Google e ha come missione quella di alimentare la ricerca e il dibattito sull’alta tecnologia. Qui si discute di futuro. Poi chiami il giornale quando qui è ancora notte fonda (fuso orario di San Francisco -9 ore) e ti dicono: «Berlusconi e il figlio sono indagati a Roma». Potete immaginare cosa può passare nella mente di una persona che ha trascorso la giornata in un centro di ricerche della Nasa... Quale futuro può avere un Paese come l’Italia? Inchiodato al 1994, alla discesa in campo del Cavaliere, mai digerita, mai metabolizzata, mai accettata da un establishment incapace di accettare la sfida del voto e del consenso? Quale futuro può architettare un Paese impegnato in una lotta dove alla fine non vince nessuno perché nel frattempo non è rimasto più niente da spolpare, se non l’osso? La grande colpa di Berlusconi è stata quella di non varare subito, fin dall’esordio in politica, una riforma della giustizia radicale. Mi dispiace, ma i suoi consiglieri felpati, i suoi avvocati e in generale la corte che in questi anni gli è stata intorno, hanno combinato un disastro strategico di cui oggi vediamo tutte le conseguenze. Macerie fumanti. Il cortocircuito tra politica e giustizia generato da Mani Pulite doveva essere riparato immediatamente. Nell’interesse della magistratura prima di tutto. Di quella non militante ma attenta agli equilibri del processo, delle indagini, alle ragioni della difesa e degli investigatori. E invece no. Sedici anni dopo ci ritroviamo ancora a discutere dei processi non solo del Cav, ma di un’intera famiglia che finisce nel mirino della giustizia perché ha un peccato originale: papà Silvio non doveva osare scendere in campo e fare politica. Quella era riservata ai professionisti del Palazzo e ai king maker che avevano alle spalle. Attenzione, il direttore de Il Tempo non sostiene che Berlusconi sia un cittadino al di sopra di ogni sospetto (nessuno lo è) ma una situazione patologica come quella italiana doveva essere curata subito e radicalmente. Berlusconi doveva solo essere messo in grado di governare, di completare in maniera rispettosa del mandato popolare la sua missione. Il Cavaliere doveva essere giudicato in due tempi: prima dal popolo per la sua azione di governo; poi dai magistrati quando il suo mandato sarebbe giunto a termine. Invece no. L’ipocrisia e la malafede sulla giustizia e sullo scudo per le alte cariche hanno impedito che entrambi i giudizi (quello del popolo e quello della giustizia) arrivassero in tutti questi anni in maniera compiuta e serena. No, si sono voluti legare i destini di Berlusconi a una situazione di caos, precaria per forza e per convenienza di quelle forze che hanno sempre avuto un solo obiettivo: disarcionare il Cavaliere. Il risultato è stato quello di avere una cronica situazione di emergenza che ha prodotto un modo di governare fatto di continui stop and go e un’atmosfera che alla fine ha favorito Berlusconi nel campo in cui è quasi imbattibile: le elezioni. Per anni questo non è stato un Paese normale e ora possiamo tranquillamente dire che è tanto «anormale» al punto che se lo guardi da fuori diventa «subnormale». Mentre le altre nazioni avanzate si stanno organizzando per un futuro che s’annuncia di ferro - perché è finita l’età dell’oro - l’Italia è in preda a una selvaggia guerra politico-giudiziaria. Mentre la tecnologia trasforma le nostre vite, crea nello stesso tempo opportunità e disoccupazione crescenti, l’Italia è impegnata a placare le tifoserie schiumanti di rabbia, a registrare sul sismografo continue scosse di tensione sociale. Sono in California, ma niente trema e tutto si svolge in un presente che guarda al futuro e mi sembra che l’attesa del grande terremoto sia un affare che in realtà riguarda il nostro Paese. Ma sì, avanti così, facciamoci pure del male, continuiamo pure a camminare voltandoci indietro, arriveremo presto alla fine: sì, il Big One sarà italiano.