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segue dalla prima di MARIO SECHI 2.Le autorità italiane si sono trovate in mezzo a un buco nero d'informazione e hanno sottovalutato la minaccia potenziale degli estremisti serbi.

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Sedovessimo dare un voto calcistico, dovremmo fare così: malissimo nel primo tempo; bene nel secondo. In ogni caso, non doveva andare in questo modo. 3.I calciatori in campo hanno capito subito che l'aria era da blocco della partita. Tutti gli altri ci sono arrivati dopo. Brutto segno, non sempre lo show deve andare avanti e le autorità calcistiche si diano una regolata, non sono al di sopra della legge e non possono permettersi l'anarchia a nostre spese. Alla base di questi tre semplici punti, c'è uno scenario di fondo davvero interessante e inquietante: in Europa gli estremismi che sembravano esser stati assorbiti dalla caduta del Muro di Berlino e da un'ottimistica dichiarazione di «fine della storia» si stanno risvegliando. Il gruppo di bestie che ha messo Genova a ferro e fuoco fa parte della destra ultranazionalista serba che non si accontenta di alzare in curva uno striscione con la scritta «vaffanculo» e rivendicare «il Kosovo è nostro», ma si organizza in raid e incursioni spaccatutto. Se si riorganizza anche la violenza di destra, se questa entra in collisione con quella altrettanto presente all'estrema sinistra, rischiamo uno scenario che sembrava sepolto per sempre. Il grande malato non è lo sport in sé, il vero corpo da curare è quello dell'Europa. E nessuno può tirarsi fuori e lavarsene le mani. Un fatto di cronaca ci dimostra come il Vecchio Continente - e il nostro Paese che sta al centro del Mediterraneo - debba ripensarsi con urgenza. Non con la retorica degli «euroforici», non con le frasi imbellettate di chi ha costruito l'Europa guardando il popolo dall'alto dell'Eurotower e oggi s'accorge che là, in basso, cova la rivolta. Non così, cari parrucconi. I fantasmi dell'Europa vengono sempre da Est. E quando quest'esercito di revenants cammina per le strade, significa che qualcosa di marcio sta accadendo a casa nostra e non nella Danimarca dell'Amleto. Non è utile lambiccarsi a lungo su «di chi è la colpa?», mentre può esser decisivo fare un punto su quello che sta accadendo in Europa, mettere nero su bianco che la violenza politica - fascista e comunista - sta tornando e decidere cosa fare. Il germe di questo male è presente in tutti i Paesi dell'Europa continentale: in Francia, in Germania, in Spagna, in Grecia, in Italia, nelle Repubbliche nate dalla dissoluzione dell'ex Jugoslavia e nei Paesi dove alla zampa dell'Orso Russo s'è sostituito l'artiglio della criminalità e dell'economia del riciclaggio. L'Europa è un vaso di coccio tra i vasi di ferro. Stretta tra il gigante americano e il titano cinese, aggredita dalle tigri asiatiche, dall'India e dalla Russia, l'Europa ha la febbre altissima. Ho visto Parigi una settimana fa assediata dalle manifestazioni contro la riforma delle pensioni. Va fatta, ma l'Europa non vuole più sacrifici, vuol stare comoda, vive nel presente e non immagina il suo futuro, come invece fanno qui in California, dove mi trovo in questo momento, il giardino delle delizie della ricerca tecnologica, il posto dove si immaginano e progettano le innovazioni che cambieranno la nostra vita nei prossimi decenni. E noi europei dove siamo? Solo i tedeschi sembrano aver colto il problema della crescita e della ricerca. Gli altri governi fanno solo manutenzione di bilancio, sembrano frastornati, aggrediti dalla contemporaneità. Sono senza visione. E senza un'orizzonte futuro la paura genera mostri. Vedete, cari lettori, siamo partiti dalla furia di un gruppo di bestie allo stadio e siamo giunti allo sguardo impaurito dei bambini che in quelle gradinate, in quelle facce sfigurate, in quelle braccia mostruosamente tatuate, in quelle urla selvagge e in quegli occhi iniettati di fuoco hanno visto la crisi della culla dell'Occidente, la paura di vivere dell'Europa.

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