Nobel al dissidente Schiaffo alla Cina
L'attivista democratico cinese Liu Xiaobo è il vincitore del Nobel per la Pace, in una decisione che la Cina ha fortemente criticato definendola «un'indecenza» che va contro le finalità del premio. L'Accademia svedese ha voluto dare il prestigioso riconoscimento a un uomo che si batte per i diritti umani. Liu Xiaobo non sa di aver vinto. È detenuto in un carcere sconosciuto dal 2009, condannato a 11 anni di prigione, accusato di sovversione del potere dello Stato per aver scritto nel 2008, insieme ad altri intellettuali e attivisti cinesi, un manifesto, Charta 08, in cui si chiedeva libertà di espressione ed elezioni aperte a più partiti. Il Comitato del Nobel ha reso omaggio a Liu per la sua «lunga e non violenta lotta per i diritti umani fondamentali in Cina», ritenendo che c'è una una stretta connessione tra diritti umani e pace. Il nome del dissidente come possibile vincitore del prestigioso premio circolava già da qualche tempo e le autorità cinesi avevano già espresso pesanti critiche. Ex professore di letteratura, salì alla ribalta come uno dei leader delle proteste di Piazza Tienanmen nel 1989. Dopo la repressione scatenata dalle autorità cinesi fu imprigionato per 20 mesi, poi trascorse tre anni in un campo di rieducazione negli anni 90, oltre ad alcuni mesi di arresti domiciliari. Il vice ministro cinese degli Esteri, Fu Ying, aveva invitato il capo dell'Istituto Nobel a non assegnare il riconoscimento a Liu durante una visita a Oslo, l'estate scorsa. I dissidi tra Pechino e Oslo risalgono al 1989 quando il Nobel per la Pace era stato assegnato al Dalai Lama, il leader spirituale del Tibet in esilio. La Norvegia, da parte sua, ha sempre ribadito che il Comitato, scelto dal Parlamento e di cui fanno parte anche ex politici, è completamente indipendente. L'assegnazione del Nobel ha acceso le speranze dei dissidenti ma ha anche dato nuovo impulso alla repressione. Venti persone sono state arrestate a Pechino mentre festeggiavano alla notize del Nobel per la Pace a Xiaobo. La polizia ha presidiato tutto il giorno la casa di Liu Xiaobo alla periferia di Pechino e impedito alla moglie di parlare con i giornalisti. La moglie di Liu, Xia, ha detto che non si aspettava che il marito vincesse il premio: «Ci credo a fatica perché la mia via è stata piena di troppe cose brutte». «Questo premio non è solo per Xiaobo ma per tutti coloro che lavorano per i diritti umani e per la giustizia in Cina», ha detto emozionata in un'intervista telefonica con la tv via cavo di Hong Kong. La moglie dell'intellettuale è riuscita a dare questa dichiarazione attraverso sms e telefonate miracolosamente sfuggite alla censura e ai poliziotti che la controllavano. Per tenerla lontano dalla stampa internazionale la polizia ha «invitato» la donna ad andare a trovare il marito in carcere così da comunicargli la notizia. In una dichiarazione diffusa a Washington dal gruppo umanitario Freedom Now, Liu Xia ha aggiunto di sperare che «la comunità internazionale colga l'occasione per insistere col governo cinese perché rilasci mio marito». È anche l'auspicio di Obama, Nobel per la Pace lo scorso anno. Il presidente americano ha chiesto alla Cina di liberare Xiaobo. Il presidente Usa definisce Liu un portavoce coraggioso ed eloquente per il progresso dei valori umani attraverso mezzi pacifici e non violenti, compreso il suo sostegno alla democrazia, i diritti umani e il rispetto della legge. Per Lech Walesa, altro premio Nobel per la pace nel 1983, il Nobel a Liu Xiaobo è una sfida per la Cina e per il mondo intero. Il Mondo oggi plaude alla decisione dell'Accademia Nobel ma in questi anni di grave crisi finanziaria ha preferito eliminare dall'agenda la questione dei diritti umani, interessati al crescente potere economico cinese. E se dopo la notizia del premio a Liu Xiaobo l'Europa e gli Usa rendono omaggio al dissidente, paladini dei diritti umani come Sarkozy, Merkel, Hillay Clinton si sono inchinati al potere economico del Dragone. Appena due giorni fa il premier cinese ha concluso un giro nelle maggiori capitali del Vecchio Continente firmando accordi commerciali per svariati miliardi. Un àncora di salvezza alla traballante barca dell'economia occidetale minacciata dai marosi della crisi. Il premio Nobel al dissidente vorrebbe essere la spinta al cambiamento ma così non sarà. Come è già avvenuto in altri casi che hanno soltanto provocato l'irritazione dei governi liberticidi. Dal Dalai Lama ad Aung San Suu Kyi, all'iraniana Shirin Ebadi, premiati per il loro impegno e per le loro azioni non violente in favore della libertà e dei diritti dell'uomo. Non è cambiato nulla. I premiati restano prigionieri o esuli. I i diritti umani possono aspettare.