Il Partito Democratico prova a prendere lezioni da Berlusconi che sulla riduzione delle tasse ha sempre convinto gli italiani a seguirlo
Cosìdal cilindro di Bersani & Co. sta per uscire la rivoluzione del fisco. Con un clamoroso taglio della prima aliquota dell'Irpef al 20% e la progressiva riduzione, fino alla cancellazione, dell'Irap applicata al costo del lavoro. I liberali di tutta Italia hanno drizzato le orecchie. Forse anche gli eredi dei comunisti hanno capito che con l'aumento delle tasse agitato davanti agli italiani per convincerli a votarli non si va da nessuna parte. Niente paura il Pd non è cambiato. Già, si perde il pelo ma non il vizio. I ricchi, sempre loro, vanno marxianamente colpiti. Dunque mazzate sulle rendite finanziarie. Quei flussi di denaro che derivano dal solo fatto che gli italiani, notoriamente popolo di formiche, mettono il loro sudato risparmio non più dentro il materasso ma sempre più spesso in azioni, titoli di stato e obbligazioni. Non si tratta di ricchi, sono i risparmiatori. Quelli che rinunciano al consumo immediato ovvero non spendono, per posticiparlo nel futuro. Sono loro che mettono al sicuro i loro soldi sperando di assicurarsi qualche piccolo guadagno in più. Niente da fare vanno colpiti. L'economia però non sembra la materia in cui il Pd sembra ferrato però. E in tema di tasse sui Bot e azioni la confusione regna sovrana. Sì perché nelle idee stilate dal responsabile economico dei Democratici, Stefano Fassina, forse qualcuno ha segnalato che aumentare le tasse ( dal 12,5% attuale al 20%) sui Titoli di Stato farebbe correre un pericolo non indifferente ai conti pubblici faticosamente tenuti in ordine dal ministro Tremonti. Diminuire il guadagno su Bot e Cct significa dissuadere molti risparmiatori dalla sottoscrizione di quote del debito pubblico creando falle pericolose nei conti. Così il saggio Fassina pensa a escludere i titoli di stato dalla mannaia di un fisco più rapace. Saggio. Peccato che, solo qualche giorno fa, la pubblicazione di un documento del Nens, il centro studi di Vincenzo Visco, abbia messo in bella mostra quali siano le reali intenzioni del Partito Democratico in termini di nuovo fisco. Le risorse per finanziare gli sgravi fiscali devono arrivare dalla sempre rinviata armonizzazione della tassazione dei redditi da capitale, in un un'unica aliquota: il 20%. Niente sconti dunque. Ma non solo. A rincarare la dose e a ipotecare la nuova sconfitta del Pd alle future elezioni anche la tassa sul patrimonio, soprattutto immobiliare. Si legga «reintroduzione dell'Ici». Quella che Silvio ha eliminato. Una mossa che gli ha dato la vittoria nelle ultime elezioni. Il Pd in tema di fisco proprio non ce la fa a cambiare.