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Pubblichiamo Bonolis Lui grida alla censura

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Paolo Bonolis e il giornalista Stefano Mannucci (prima dello scontro dialettico a mezzo giornali e radio)

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LA LETTERA DI PAOLO BONOLIS - Caro direttore, mi stupisce vedere il mio volto in prima pagina con una reprimenda da parte di un suo giornalista nei confonti di una opinione da me espressa al settimanale TvSorrisi e canzoni. Indipendentemente dal mestiere che faccio sono un cittadino italiano che rispetta i suoi doveri: pago le tasse e rispetto le leggi e presumo di avere anche dei diritti tipo quello di dire ciò che penso se mi viene chiesto. Non fondo partiti politici, non vado a bussare alle porte delle persone per dire ciò che penso ma semplicemente a domanda rispondo. Ma la cosa più singolare è che la reprimenda mi venga da un giornalista cioè da un guardiano della libertà d'espressione e della libertà di pensiero... o forse non è più così? Paolo Bonolis LA RISPOSTA DI STEFANO MANNUCCI - Caro Bonolis, io invece non mi stupisco della tua piccatissima replica. Conosco il tuo carattere, quello che fa di te un uragano sul piccolo schermo. Dove ne hai indovinate tante, anche se non tutte: ricordo con qualche perplessità la tua intervista a "Domenica In" tesa a umanizzare un serial killer come Bilancia, ma avrai saputo far tesoro di quell'infortunio. I tuoi programmi divertono grandi e piccini e talvolta - come nel pregevole "Senso della vita" - mettono in moto i neuroni. Altre, come "Ciao Darwin", sono vagamente pecorecce, ma spero non ti offenda. Quando il direttore di Raiuno Mazza espresse un parere non lusinghiero sui "vermetti" con i quali fai cospargere i corpi dei concorrenti, dalla ridotta di Mediaset rispondesti fiero: «Io lascio i vermetti senza i quali mi sono mosso lo stesso, lui lascia la personale copertura politica e vediamo che succede senza vento nelle vele». Io, modesto cronista, pendo dalle tue labbra quando ti ascolto. Imparo sempre qualcosa: il tuo tentativo di sottrarre il popolo all'analfabetismo di ritorno con parole buffe come "apotropaico" o "sesquipedale" è ammirevole. E allora vorrei sommessamente dirti una cosa, visto che nella tua lettera e in un intervento su Radio Ies (al cui speaker chiederò conto per avermi chiamato "sciacallo"), mi hai accusato di volerti "censurare" o di averti fatto una "reprimenda" che forse nasconde ordini dall'alto, la dietrologia e la teoria del complotto intese - attraverso la mia screditata figura di burattino al soldo del potere - a metterti la mordacchia. Tu che mangi pane e vocabolario sai che il termine "censura" è spendibile quando del personaggio da far tacere non trovi più traccia nella pubblicistica corrente. Ieri "Il Tempo" ti ha dedicato un articolo critico, a mia firma, con tua grande foto in prima pagina e le tue scomodissime dichiarazioni riportate tra virgolette. La nostra "censura" ti è valsa un'esposizione sul giornale di 30 cm per lato. E tanto ti abbiamo censurato che voglio aggiungere alla tua lettera anche ciò che hai detto a Radio Ies: «La vicenda è imbarazzante. Leggendo l'articolo colpisce che un giornalista, e cioè uno che dovrebbe garantire la libertà di informazione, inibisca il pensiero degli altri. Non possiamo esprimere un parere; questo fa pensare che sia un esercizio di censura a monte. O dici quello che vogliono o devi stare zitto». E ancora: «Quel che è stato scritto è sciocco. Mi dispiace che "Il Tempo" debba avvalersi di firme che negano il diritto di informazione». Tranquillo, Paolo. Nessuno vuole toglierti il diritto di esprimerti come privato cittadino, ma nessuno può limitare la libertà di stampa, soprattutto quando non si mortifica ad anodina trascrizione di una tua sortita (su "Sorrisi") alla vigilia del ritorno in onda con "Chi ha incastrato Peter Pan". Sei un mago della comunicazione e sai bene come ti tornasse utile una dichiarazione roboante: del programma sapevamo già tutto. Anzi, riproduciamo ancora quelle tue frasi: «Politicamente e moralmente l'Italia è agonizzante. E quelli che le stanno intorno e fingono di rianimarla, in realtà le stanno fregando il portafoglio, i denti d'oro e pure la collanina». A rileggerle, in effetti, non appaiono troppo scandalose. Sono le solite doglianze di chi, ben microfonato e forte del successo, non offre soluzioni e si autodefinisce qualunquista. In quest'Italia immalinconita e trash tutti abbiamo diritto di parlare. Pure chi obietta lecitamente a ciò che dici. Spero tu non voglia censurarmi. Sai, anch'io pago le tasse.  

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