Berlusconi frena sul voto e tratta sulla giustizia
«Ecco, ho fatto i conti. Ed è tutto molto chiaro». Giuseppe Scalera s'aggira per un corridoio laterale della Camera con un foglietto di carta in mano, di quelli tascabili della Camera dei Deputati. Scalera è un deputato Pdl, vecchia scuola Dc, era con i diniani nella scorsa legislatura e fece cadere Prodi. È un malato di preferenze, voti, sistemi elettorali. Non è un caso che Mara Carfagna l'abbia voluto coordinatore della sua campagna elettorale alle scorse Regionali e se il ministro ha portato a casa oltre cinquantamila voti Scalera ci ha messo del suo. E allora, che dice questo foglietto? Il corpulento parlamentare se lo gira e rigira tra le mani. Poi sospira: «Se si vota domani perdiamo al Senato in Trentino, Liguria, Marche, Emilia, Toscana, Umbria, Basilicata. Sono le stesse che hanno vinto l'altra volta a cui si aggiunge la Liguria. Poi ci sono quelle in bilico. E ci metto Piemonte, Sardegna, Lazio, Puglia, Sicilia. Sulla Sicilia è più complicato fare calcoli perché adesso non saprei dire quelli che sono usciti dall'Udc quanto pesano. Però posso dire che è a rischio. C'ho messo tutto il fine settimana per fare questi conti. Dati elettorali, sondaggi, trend. La situazione è quella. Le somme? Le faccia lei». E il totale è facile a farsi. Se il Pdl perdesse la Liguria sarebbero già due senatori in meno (e due guadagnati dall'opposizione). In quelle in bilico ci sono in ballo 18 senatori. Vuol dire che se Berlusconi, oltre a Genova, perdesse in tutte le cinque Regioni dove potrebbe esserci un testa a testa con il centrosinistra - ma è la peggiore delle ipotesi - non avrebbe la maggioranza al Senato dopo le prossime elezioni. Si passerebbe dai 168 senatori a 139 del 2008 a 147 a 160 per la sinistra. È vero che sul tavolo del Cav c'è un sondaggio che dà Fli appena al 2,9% e il Pdl stabilmente in testa con cinque punti di vantaggio sul Pd. Ma non basterebbe. Certo, poi una campagna elettorale può cambiare tante cose. Dipende dalle alleanze. Dipende dal tipo di propaganda che fanno i candidati. Insomma, dipende da tanti fattori. Ma quel che appare certo è che oggi Berlusconi ha una maggioranza stabile al Senato e in un prossimo voto rischia. Sarà anche per effetto di questi numeri che ieri è stata la giornata della grande frenata al punto che il Pdl ha annunciato che confermerà tutti i presidenti di commissione uscenti, a cominciare dalla «odiata» Giulia Bongiorno. Il Cavaliere si prepara al voto, e ci mancherebbe altro in questa situazione: ha visto i "team della libertà" (Brambilla, Verdini, Mantovani, Valducci), le "cellule" che intende piazzare in ogni sezione elettorale per rendere il Pdl più capillare sul territorio. Pronti alle elezioni, dunque. Ma Silvio lavora per scongiurarle. «Il miglior deterrente a tutto è governare, fare le cose, dare risposte al popolo», dice Mauro Pili, un fedelissimo del premier. Oggi il ministro Frattini dovrebbe lanciare un appello a favore della stabilità. Intanto aggiunge Piero Testoni, altro deputato pidiellino che collabora con Paolo Bonaiuti: «C'è una fiducia votata in Parlamento, dobbiamo stabilizzare la maggioranza per governare meglio». Il messaggio dunque è andare avanti. Lo si capisce dalla faccia, anzi dalla smorfia che a metà pomeriggio scappa a Ignazio La Russa in pieno Transatlantico appena qualcuno gli pronuncia la parola «elezioni». «Quando tutti fanno questo rumore allora vuol dire che non succede proprio nulla. Se tutti dicono voto-voto-voto vuol dire che non si vota», spiega il ministro della Difesa. Il coordinatore del Pdl non sembra preoccupato neanche dalle polemiche sul tema della giustizia: «I finiani hanno detto che voteranno il lodo Alfano. Il processo breve? Mi sembra che il problema sia la norma transitoria. Discutiamone. Ci dicano come vorrebbero modificarla. Una cosa è certa, non si può approvare un testo senza porsi il problema dei processi pendenti». Il termometro di tutto ciò è tra i rapporti all'interno del mondo An. Oggi si dovrebbe riunire il comitato di gestione di via della Scrofa (in cassa ci sono quasi 80 milioni e altri 300 in patrimonio immobiliare, soprattutto sedi di An). Dovrebbe, perché potrebbe essere rinviato. E questo è già dimostrazione che dopo mesi in cui sono volati gli stracci tra filo-Fini e pro-Berlusconi tra loro si parlano. E si parlano perché nell'ultima riunione il presidente Franco Pontone si è dimesso. Ora gli uomini di Fini, che hanno maledettamente bisogno di soldi, reclamano un po' di fondi e vorrebbero fare 50 e 50. I berlusconiani, che hanno la maggioranza del comitato dei garanti (di cui quello di gestione è espressione), non ne vogliono sapere: Matteoli e La Russa sono per la linea ferma, Gasparri è più morbido, Alemanno è per la trattativa. I finiani con una nota letta da Raisi (ma sembrava opera di Buonfiglio) sono arrivati a minacciare di chiedere a un giudice il commissariamento. Nessuno vuole arrivare a tanto. E ora si cerca un'intesa. E se persino gli ex An cercano un accordo tra loro, il governo potrà andare avanti.