Marchionne: l'Italia è uno zoo
E a Roma sfila il "bestiario"
«Si è perso il senso delle istituzioni, la bussola è partita, è sempre più difficile per chi va all'estero spiegare quello che succede in Italia. È vergognoso». Sergio Marchionne è visibilmente impressionato per gli ultimi episodi di violenza, dai tafferugli di Treviglio alla vicenda che ha coinvolto il direttore di Libero, Maurizio Belpietro. L'amministratore delegato della Fiat, di solito freddo anche nelle situazioni più complicate, questa volta si lascia andare. Ha appena terminato il suo intervento al convegno della Federazione nazionale dei Cavalieri del Lavoro e lancia subito una frase al vetriolo per descrivere quest'Italia violenta. «Qualcuno ha aperto i cancelli dello zoo e sono usciti tutti» aferma fuori dai denti. E a chi lo sollecita su un paragone con gli anni di piombo: «Beh, quelle fotografie le ricordiamo tutti». «Gli episodi di violenza che si sono verificati in questi giorni vanno condannati con fermezza. Dobbiamo prendere le distanze, tutti quanti, da una cultura disastrosa che alza la tensione sociale e nega il dialogo». A giudizio di Marchionne si tratta di «una cultura che non ci appartiene e che serve solo a distruggere ciò che di buono stiamo tentando di costruire. Oggi c'è bisogno di una convergenza forte, la più ampia possibile, che veda insieme tutte le forze positive di cui l'Italia dispone». Secondo l'ad della Fiat, insomma, «c'è bisogno di condividere gli impegni, le responsabilità e i sacrifici, in vista di un obiettivo che vada al di là della piccola visione personale». Questo, ha incalzato Marchionne, «è il momento di accettare il cambiamento come la possibilità per creare una base di ripartenza sana, come un'occasione per iniziare a costruire insieme il Paese che vogliamo lasciare in eredità alle prossime generazioni». Ed in questa Italia, insiste l'ad, la Fiat vuole continuare a investire nonostante qualcuno «la prenda a schiaffi». Marchionne quindi torna a difendere l'accordo di Pomigliano, che «non azzera alcun diritto istituzionale», e anche la scelta di restare in Italia, malgrado «logiche economiche e finanziarie» che «spingerebbero verso altre scelte e altri Paesi». Fabbrica Italia, il piano di investimenti da 20 miliardi, è un progetto che «non nasce da un calcolo di convenienza», ribadisce l'amministratore delegato, visto che altrove ci sono «condizioni più vantaggiose e maggiori certezze». Ma che si impone perchè Marchionne crede che «la Fiat abbia il dovere di guardare prima di tutto all'Italia». Esempio concreto di ciò che si può fare è l'accordo di Pomigliano, che, assicura, «non azzera alcun diritto costituzionale», anche perchè le richieste dell'azienda «non sono state certo pensate per penalizzare i lavoratori, ma servono solo per far funzionare meglio la fabbrica, rendendola più competitiva». E allora ecco i 18 turni, la semplificazione della busta paga (per leggere la quale, oggi, si compie un «esercizio bizantino»), la questione delle malattie. Secondo Marchionne si tratta di «un buon accordo», sul quale il Lingotto chiede non plebisciti, «ma il rispetto della volontà della maggioranza». «In fondo - precisa il numero uno della Fiat - l'unica cosa che stiamo chiedendo è la garanzia di poter lavorare». L'impegno della Fiat, insomma, non mancherà, ma anche le istituzioni sono chiamate alla loro parte per affrontare la crisi, evitando di scaricare il peso del welfare sulle aziende («guardate chi sta pagando veramente la cig», osserva) e agendo in un'ottica di sviluppo e non solo di austerità. Il tutto, però, non perdendo di vista che «la crescita deve offrire la possibilità di migliorare la vita a un numero molto più alto di persone» e che, come disse Bob Kennedy tre mesi prima di essere ucciso, il pil «misura tutto, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta».