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È la sinistra radicale a "crescere" gli esaltati

Una manifestante al No B-day di Roma in piazza San Giovanni

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Non erano passate che poche ore dal tentato agguato a mano armata a Maurizio Belpietro, che a Livorno un corteo della Cgil ha assaltato con lanci di sassi e uova la sede cittadina della Cisl. E prima ancora c'era stato il fumogeno scagliato contro Raffaele Bonanni da un gruppo dei centri sociali alla Festa torinese del Pd. Stesso luogo dove si era impedito di parlare a Renato Schifani, ad opera di grillini e “popolo viola”. La reazione più gettonata in queste ore è molto istituzionale, ma anche piuttosto ipocrita: colpa, si dice, di un clima politico "avvelenato" e di toni esacerbati "da parte di tutti". Il clima politico non è certo dei migliori e i toni sono spesso fuori registro: ma questo quanto è davvero causa di attentati e intimidazioni, o quanto invece non serve come frettolosa spiegazione o alibi per chi preferisce non vedere e non capire? In altri termini, da dove viene la violenza? Se guardiamo la serie storica di attentati a giornalisti, da Indro Montanelli a Belpietro passando per Guido Passalacqua, Carlo Casalegno e Walter Tobagi, si è sempre cercato (e talvolta, tragicamente, si è riuscito) di chiudere la bocca a chi scriveva cose scomode per l'estrema sinistra. Stessa cosa per dirigenti sindacali e studiosi che hanno cercato di riformare le leggi sul lavoro: da Gino Giugni ad Ezio Tarantelli, da Roberto Ruffilli a Massimo D'Antona a Marco Biagi. Per citare quanto detto al processo contro le nuove Br da Pietro Ichino, esperto e parlamentare del Pd che vive da anni sotto scorta, e che il 13 settembre è stato violentemente contestato alla Festa democratica di Milano, «in Italia chi tocca lo Statuto dei lavoratori muore». Questa violenza è sempre venuta da circoli più o meno strutturati di quella sinistra estrema: che fossero colonne brigatiste o anarchico-insurrezionali, centri sociali o cortei della Fiom e perfino della stessa Cgil, l'imprinting è stato sempre rosso. Spesso ha appunto scelto per bersaglio uomini della sinistra riformista, additati come traditori del popolo. Altre volte ha messo nel mirino giornalisti e politici dell'altra parte. Certo, c'è stato un periodo in cui anche l'estrema destra si è data al terrorismo. Un esempio per tutti: quello di Vittorio Occorsio, che cadde sotto i colpi del neofascista Pierluigi Concutelli. Senza trascurare gli anni delle stragi sulle quali non è mai stata fatta chiarezza. Ma il terrorismo di estrema destra individuò nello Stato e nei suoi simboli i bersagli da colpire, e nelle stragi il modo perverso di indebolire lo Stato. Non si può stabilire una graduatoria di gravità fra terroristi rossi e neri, dire se gli uni siano stati peggio degli altri. La storia e la reazione di tutte le forze politiche e istituzionali, a cominciare da quelle della loro parte, li ha sconfitti entrambi. Ma se guardiamo all'oggi, notiamo un differente livello di violenza. L'estrema destra ha deposto le armi, l'estrema sinistra no. E per armi non intendiamo solo mitra e pistole, ma anche sassi, fumogeni e slogan. C'è un'intera area sindacale che sta andando fuori controllo: a sinistra della Fiom, nella Fiom stessa, e ora rischia di infettare la Cgil. Le prime reazioni, a livello locale e dall'alto, non promettono nulla di buono: si può spiegare l'assalto ad una sede della Cisl con il fatto che la confederazione di Bonanni avrebbe rotto "l'unità dei lavoratori"? Tra spiegazione e giustificazione passa un confine molto sottile, e molto pericoloso. Alla stessa maniera si tenta di "spiegare" l'agguato a Maurizio Belpietro con il clima politico. Quale clima? Un dibattito parlamentare? Le barzellette del Cavaliere? Gli editoriali di Minzolini? Berlusconi non ha certo in simpatia il comunismo, e lo dice, né quelli che considera i suoi epigoni. E spesso dimentica il bon ton. Ma non ci risulta che le libertà politiche e civili siano limitate, e che la Celere stia perquisendo le sedi dei partiti d'opposizione. Analogamente, parte dell'imprenditoria, da Marchionne in giù, ha deciso di rompere con il sindacalismo violento e con i sindacalisti che sabotano le linee di montaggio. O semplicemente con chi non accetta di considerare i doveri alla pari dei diritti. Contrariamente a ciò che passa in certi talk show modaioli e miliardari, non siamo di fronte a nulla di diverso da quanto accade in paesi di lunghissima tradizione sindacale come Germania e Stati Uniti, dove lo stato e gli imprenditori trovano l'appoggio e l'alleanza delle stesse organizzazioni dei lavoratori. La realtà è che oggi la violenza viene da una parte, una parte sola. E prescinde dalla situazione politica ed economica. In Grecia la gente scende in piazza contro i tagli del governo socialista, nella ricca Francia le corporazioni ben protette si ribellano alla riforma delle pensioni del conservatore Sarkozy, la Spagna ha appena indetto uno sciopero generale contro il socialista Zapatero, gli irlandesi si indignano perché il governo retto da un'alleanza tra conservatori e verdi dovrà tagliare le spese per aver salvato la principale banca del paese. La tensione sociale ed anti-establishment è ovunque. Ma, appunto, nasce dalla grande crisi e in nessun caso si può parlare di terrorismo sovrannazionale come negli anni Settanta. Da noi è diverso: la crisi, meno violenta che altrove, non ha finora generato rivolte di piazza; però assistiamo al crescere di tanti casi di violenza estrema, talvolta armata. La situazione economica è un alibi, esattamente come il clima politico: gli esaltati dei centri sociali, e meno ancora i nostalgici delle Br, non si fanno influenzare dai vertici di Bruxelles o dai dibattiti parlamentari. Perciò diamo ascolto ad Ichino: «Vedo responsabilità in casa nostra. Nella faziosità con cui parte della sinistra politica e sindacale affronta questioni di importanza cruciale: questo impedisce di guardare in faccia la realtà. Perché a menare le mani non sono mai le persone che soffrono situazioni di disagio, e neppure quelle che subiscono ingiustizie gravi».

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