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Silvio-Gianfry, è armistizio

Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi

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C'è già chi lo chiama «armistizio». Persino uno come Ignazio La Russa pensa che il «patto» si dovrà fare, e getta già le basi di discussione: i finiani non sono determinanti, visto che i numeri ci sono per andare avanti. Sarà, quel che conta è che sono già iniziate le trattative per arrivare a un'intesa. O almeno per provare a vedere se ci sono le condizioni. L'altro giorno Pasquale Viespoli, capogruppo di Fli al Senato, ha parlato fitto fitto con il premier durante il dibattito sulla fiducia. Viespoli in pratica ha proposto una sorta di accordo senza fare la pace con Fini in persona. Naturalmente con l'accordo del «capo». Un patto senza che sia firmato dai due presidenti ma che invece venga siglato dai colonnelli, al limite dai generali dei rispettivi eserciti. Un armistizio, appunto. Su quali basi? Innanzitutto la reciproca considerazione che nessuno vuole le elezioni. Non le vuole Bossi, che comunque non si può permettere di presentarsi al suo elettorato e dirgli che il governo è caduto per una battuta di Asterix e non ha ancora portato a casa il federalismo fiscale. Non le vuole Berlusconi, perché una crisi presenta molte incognite e al momento una nuova vittoria elettorale non è certa visto che il Pdl è sceso nei sondaggi. Non le vuole Fini che deve preparare il partito. Su che cosa, dunque, è possibile un terreno di confronto? Sul federalismo, per esempio, tema caro a Fini ma anche a larga parte di Fli che è composta da parlamentari meridionali (i due capigruppo, anche se non si amano, sono campani).   Si lavora sui prossimi decreti attuativi che saranno varati dal ministero dell'Economia ma è ancora tutto molto allo stato embionale. Altro terreno sul quale i finiani si sono mostrati pronti a un confronto è quello sulla giustizia. Sul lodo Alfano costituzionale l'accordo è a un passo anche perché i berlusconiani hanno accolto quasi in toto le richieste avanzate dall'ambasciatrice del presidente della Camera, Giulia Bongiorno. Gli uomini di Futuro e Libertà vorrebbero anche incidere sul Fisco. E in particolare vorrebbero che si cominciasse a intervenire sul taglio che era nel programma. E per cominciare reclamano un segnale chiaro per le famiglie. E Berlusconi? Chi l'ha visto ieri come Antonio Angelucci e Amedeo Laboccetta, due deputati Pdl, l'ha trovato galvanizzato: «Avete visto quanta gente mi aspettava all'uscita dal Senato? Sono ancora il primo ministro che ha il più alto consenso in Europa». Ma per ora aspetta, si consulta, non ha ancora deciso una linea definitiva. Di sicuro i falchi tra i suoi consiglieri sono messi da parte al momento. E Fini? Anche Gianfranco non ha le idee chiare anche perché è abituato a muoversi facendo un passo alla volta. Martedì si terrà la prima riunione dei gruppi di Fli che dovrebbero dar vita al comitato promotore dle nuovo soggetto politico. Lui si chiamerà fuori, perché altrimenti dovrebbe dimettersi da presidente della Camera. L'uomo in pole position per guidare il partito è Adolfo Urso, il quale allo stesso tempo è difficile possa restare al governo come viceministro al Commercio Estero in un dicastero dove per giunta manca ancora il titolare. Difficile possa affidare quel ruolo a Italo Bocchino perché già capogruppo e poi perché inviso a una parte dei finiani. Forse potrebbe scegliere una soluzione intermedia. Come per tutto il resto. Il nuovo soggetto ha bisogno di finanziamenti e per il momento di soldi non se ne vedono.

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