Il Cavaliere è in sella
Alessandro Bertasi a.bertasiiltempo.it La scena è tutta sua. Sarà stato per l'atmosfera più conciliante di Palazzo Madama o per la sicurezza di avere già in tasca la fiducia da parte di un ampissimo numero di senatori, ma ieri Silvio Berlusconi è tornato a indossare i panni del vero show man. E così, all'indomani del voto di fiducia a Montecitorio, il presidente del Consiglio, torna alla carica. Cambia il palcoscenico ma questa volta, quello stesso copione declamato il giorno prima alla Camera, diventa più frizzante. Il Cavaliere vuole far capire a tutti che è tornato in sella. Davanti a sé ha una maggioranza di fedelissimi ma, anche se i numeri di Pdl e Lega sono più che ampi per determinare l'autosufficienza del governo, si guarda bene dal polemizzare con le truppe del presidente della Camera. Anzi, gli tende la mano, e riconosce implicitamente al suo gruppo di essere la «terza gamba» della maggioranza. Dopotutto, al Senato, i rapporti tra Pdl e «fururisti», come sottolinea Gaetano Quagliariello, sono «decisamente migliori». Berlusconi torna a sorridere, ogni tanto si mordicchia le unghie e si asciuga la fronte, ma, dal suo volto, traspare ottimismo tanto da dirsi addirittura «soddisfatto» per il passaggio di mercoledì alla Camera. «Quel voto - dice il Cavaliere - chiude una stagione di polemica interna che non ha fatto bene alla maggioranza. Anche chi ha fatto una scelta dolorosa di separazione dal Pdl ha votato la fiducia. Sono convinto che tutti svolgeranno con lo spirito costruttivo e leale di sempre il loro mandato parlamentare». Il lavori d'aula intanto si fermano per la pausa pranzo. Alcune senatrici lo fermano per regalargli una cravatta per il compleanno. Lui si sfoga, conferma di essere «stanco» per le vicissitudini di questi giorni però incoraggia le parlamentari ad «andare avanti». Ma è nel pomeriggio che il premier, replicando agli interventi dei diversi senatori sul suo discorso, ha dato il massimo. Con sè, porta un paio di ramoscelli d'ulivo da inviare a Fini: un auspicio che suona come una richiesta di tregua: «Si chiude una stagione di polemiche interne che non ha fatto bene alla maggioranza». Poi riprende posto in Aula e ricomincia: «Stamattina si dormiva - dice - ora ci divertiamo un poco». Un prologo perfetto per uno show a trecentosessanta gradi. Si concentra sulla politica estera attribuendosi il merito di aver fatto tornare «normali» i rapporti tra Usa e Russia e di aver convinto Mosca a non intervenire in Georgia. Stesso clichè quando parla dei rapporti con la Libia. «Non c'è nessun inginocchiamento da parte nostra» a Gheddafi. Tutte dichiarazioni che suscitano la protesta dell'opposizione sia in aula che fuori, tanto che è proprio il leader dell'Idv, Antonio Di Pietro, a commentare quelle frasi: «Il premier non solo è bugiardo ma si è convinto del fatto che quello che dice può avere una parvenza di verità. Il suo è un problema che deve essere esaminato in qualche clinica psichiatrica». Ma Berlusconi ormai alle accuse di Di Pietro sembra averci fatto il callo tanto che, sollecitato da una senatrice del Pd, ha deciso di aprire un altro fronte con l'opposizione. Si tratta di Napoli e dei suoi rifiuti: «Il problema è stato risolto dal governo, e se le cose non funzionano la colpa è dell'amministrazione comunale, alla quale spetta la raccolta, e del sindaco Rosa Russo Jervolino». Altro coro di proteste si leva dai banchi dell'opposizione. E lui? Lui ride, fa cenni con la mano commentati da un soffocato «ma va la» e prosegue. È sempre più ringalluzzito tanto che anche il capogruppo dell'Udc Gianpiero D'Alia, prima di iniziare il suo intervento lo definisce un «superpresidente del Consiglio», commentando, ironico: «Forse ha mangiato pane e kriptonite...». Dalle parole però è ora di passare ai fatti: «Per l'Italia si deve aprire una grande stagione di riforme nella democrazia, nella sicurezza e nella libertà. E questo sarà il tema del nostro lavoro da qui a fine legislatura». Poi riprende in mano il copione e recita: «A nome del governo pongo la questione di fiducia: votate bene. Vi ringrazio». Finale senza colpi di scena. I numeri confermano le previsioni tanto che, con 174 «sì» (Pdl, Lega, Fli, Mpa e Union Valdôtaine), 129 «no» (Pd, Udc, Idv, Api, Io sud) e l'astensione della Südtiroler Volkspartei e dei sei senatori a vita, il governo incassa la fiducia e con questa, sempre secondo un copione già scritto, anche l'attacco della sinistra: «Non siete più forti, ma tragicamente più deboli. Non li faccia più i sacrifici, presidente. È ora di lasciare», dice Anna Finocchiaro, capogruppo del Pd al Senato. Aggiunge Massimo D'Alema: «Berlusconi ha fatto un discorso che avrebbe potuto fare 10 anni fa. Adesso è scaduto. Non vedo riforme nel futuro, vedo la navigazione a vista, liti, problemi e, presto, elezioni».