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Bossi dagli insulti alle scuse

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Fotomontaggio con Umberto Bossi e Giuseppe Ciarrapico

E Ciarrapico offende gli ebrei

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Umberto Bossi esce da una portincina del Senato e arriva nel cortiletto interno. È solo. Nel senso che c'è soltanto il caposcorta, l'assistente e la portavoce. Lui cammina sotto braccio a Rosi Mauro, vicepresidente del Senato, quella che parla con i giornalisti solo per dire «Non parlo con i giornalisti». E infatti, appena vede il cronista, alza la mano come fosse una vigilessa sulla pedana di piazza Venezia: «No, no. Niente dichiarazioni». Per carità, solo un saluto. «Ah vabbè». A Bossi va invece di scherzare. Ora gli ha preso un nuovo scherzo. I giornalisti che gli vanno incontro devono mostrare la mano. Lui gli tira un ben cazzotto con il destro. Per far male, fa male. Sicuro. Almeno quello l'Umberto ce l'ha duro. Se il cronista resiste, risponde alle domande. Una, al massimo due. E replica pressapoco a monosillabi, qualche volte a bisillabi. Poi si rompe e se ne va. Primo punto interrogativo: regge il governo? «Ora non si può più sbagliare oppure si va al voto».   E i finiani tengono o molleranno? Bossi si comincia a spazientire, fa un pessetto in avanti come se già cercasse la fine del cortile. Bofonchia. Quindi ripete: «Ora non si può più sbagliare». Attimo di respiro: «Questo l'hanno capito tutti, anche i finiani». Vabbè, ma lei che pensa? «Io penso positivo». Risatine generali. Ma se pensa positivo non è meglio andare a votare? «Parlare di voto adesso non ha senso perché il governo ha appena preso la fiducia». E Bossi si riprende un altro infinito attimo. Gira la testa verso destra, poi verso sinistra. Riprende il filo: «Per me, ora, è meglio non votare e concentrarsi sul federalismo e le riforme». Altro passetto in avanti, un altro ancora. Ministro, ma Maroni dice che si vota a marzo. Bossi si ferma e stavolta risponde subito: «È chiaro poi che prima o dopo si deve andare a votare e in Italia si è sempre votato in primavera e il fatto che lo dica anche Maroni è indicativo». Bossi si fa largo, vuole andare via. Ministro, scusi, ma la crisi potrebbe esserci già la settimana prossima. L'Umberto si ferma di nuovo, guarda fisso come a dire: ma che stai dicendo. Sì, la settimana prossima si potrebbe votare la mozione contro di lei. Il leader della Lega guarda nel vuoto. Forse vorrebbe dire qualcosa tipo «Embè?». Ma non tira aria. «La conosce quella frase di quel capo della polizia francese?». Quale frase, scusi? «Datemi una frase e vi faccio impiccare qualunque uomo». La frase era molto chiara. Lei ha detto che Spqr vuol dire Sono Porci Questi Romani. Bossi s'inalbera: «Ma era la festa. La festa di miss Padania». E va bene, ma allora che voleva dire? «Spqr vuol dire Senatus Popolusque Romanus». E va bene, ma forse non ha capito che sarà pure una battuta ma per una battuta rischia di cadere il governo. «Eccolo là, lo vede il capo della polizia francese. Come si chiamava?». Guardi che i finiani potrebbero votare contro e lei se ne va a casa. «Magari, così mi riposo un po'». Risatine. Ma dove va un governo senza di lei, dura tre giorni. «Ma no, io mi riposo un po'. Non credo succeda nulla». Ah sì? Guardi che Bocchino ieri sera diceva che nulla è deciso ma se lei non chiede scusa loro votano per la sua sfiducia. «Chi l'ha detto?». Bocchino, il capogruppo di Fli alla Camera. Bossi si spazientisce. Si gira verso destra e a mezza bocca dice qualcosa. «Chiedo....». Chiedo? «Chiedo...». Che chiede? «Chiedo scusa». Come? Che dice ministro? Non si capisce bene. Che chiede? Il Senatùr sembra il Fonzie di Happy days che quando doveva pronunciare la parola «scusa» non gli usciva dalla bocca, si bloccava. Ma Bossi non è stupido, tutto gli si può dire tranne che non sia particolarmente intelligente. Capisce la situazione e torna guardare dritto: «Chiedo scusa ai romani, a quelli che si sono sentiti offesi. La mia era solo una battuta. E per una battuta volevano impiccarmi». Poi si fa largo con la mano. La «vigilessa» Mauro interviene: «Basta così ora, andiamo». Umberto va oltre. Per oggi basta così. Ma è quel che serviva. Per il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, «le scuse sono accettate». Il Pd, soddisfatto, ritira la mozione di sfiducia. L'Umberto è salvo.  

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