Il ribaltone da oggi è impossibile
Cari lettori, prima di scrivere il mio pezzo su una giornata politica importante, voglio darvi un paio di notizie sul nostro giornale. Qualche giorno fa, parlandovi della crescita de Il Tempo rilevata da Audipress (+18,3%), avevo preannunciato che il percorso di innovazione del quotidiano era appena iniziato. Ecco alcune novità: da oggi avremo 56 pagine, tre edizioni (Roma, Lazio, Abruzzo- Molise) con dorsi di 24 pagine inseriti al centro del giornale e una sezione unica nazionale. Lo scopo di questa riforma, che avrà continui innesti, è quello di sposare la tradizione e la forte identità de Il Tempo con la presenza sul territorio. Il mio obiettivo è offrirvi un prodotto moderno, veloce e profondo, chiaro nelle sue posizioni, coraggioso nelle sue opinioni, coerente in ogni sua sezione, equilibrato, frutto di un'attenta selezione delle notizie e senza sprechi di risorse. Il viaggio de Il Tempo in un nuovo tempo è cominciato. *** Esaurita la doverosa pratica di informazione editoriale, cerchiamo di capire insieme che cosa è successo mercoledì dalle parti di Palazzo Chigi. Subito dopo il voto di fiducia alla Camera avevo titolato così la nostra prima pagina: «Tutti giù per terra». Un titolo con una doppia lettura: 1. occhio, se continuate di questo passo cadete; 2. tornate sulla terra, il voto anticipato è ancora lontano. La mia valutazione sul risultato di Montecitorio infatti non era (e non è) catastrofista come ho letto su gran parte dei giornali. Dopo il voto del Senato - come avevo preannunciato - il quadro politico s'è finalmente chiarito dopo mesi e mesi di ambiguità, incertezze, ipocrisie, furberie e basse manovre di Palazzo. Finalmente Gianfranco Fini si presenta agli occhi degli italiani per quel che è: non è solo il presidente della Camera, ma il capo di un partito allo stato nascente. Questa ammissione di ruolo, lo condurrà presto a trarre le conseguenze della sua azione. Una cosa è arrivare a fare la terza carica dello Stato con un partito esistente alle spalle, un'altra è svolgere quel ruolo con un partito che nasce dalle ceneri di uno scontro nella formazione politica che ti ha eletto. Fini conosce benissimo questa differenza e sa anche che per non fallire il suo obiettivo politico dovrà impegnarsi, metterci la faccia, sudare sette camicie, giocare la partitaccia fino in fondo. Tutto questo a lungo andare non sarà compatibile con la presidenza di Montecitorio e per questo immagino che si dimetterà. Detto questo, alla luce dei numeri e del dibattito di Palazzo Madama, val la pena di fare un paio di considerazioni. Giornali e televisioni ieri hanno scelto di enfatizzare l'immagine di un governo in piena crisi. Scelta legittima, ma se guardiamo i numeri e lo scenario, possiamo ricavarne una lettura diversa e meno influenzata dal fattore emotivo. In politica quest'ultimo conta parecchio, ma come sanno i miei lettori, io cerco di privilegiare un'analisi realista dei problemi, offrire un quadro meno emozionale e più machiavellico. Il governo alla Camera ha preso più voti di quanti ne aveva incassato il giorno del suo insediamento (342 contro 335), mentre al Senato ieri ha messo in cascina una maggioranza di 174 voti favorevoli contro 129 contrari. Si tratta di un numero che va al di là di qualsiasi ragionamento sull'autosufficienza e mette la maggioranza berlusconiana in cassaforte. Il voto del Senato azzera qualsiasi possibilità di ribaltone. E mette anche l'esecutivo di fronte ad alcune certezze. La prima è che non si trova assolutamente nelle condizioni tragicomiche in cui si trovò l'ultimo governo di Romano Prodi. Non occorre essere Pico della Mirandola per ricordare che il Professore dipendeva dal voto dei senatori a vita e dalle bizze caudillesche del senatore italo-argentino Domenico Pallaro. Il governo Berlusconi non è attaccato a un respiratore né cammina con le stampelle. La soglia tecnica dei 316 voti, la maggioranza assoluta, inoltre, non serve a governare giorno dopo giorno, basta osservare i risultati delle votazioni per rendersene conto. Berlusconi e Bossi da ieri hanno alcune certezze: 1. hanno i numeri per continuare a governare; 2. hanno i numeri per andare - in caso di crisi con i finiani - dritti alle elezioni. Ripeto: il voto del Senato blinda la maggioranza, impedisce papocchi vari da Prima Repubblica, è una pietra tombale per i ribaltonisti della prima e ultima ora. Da questo momento Berlusconi può manovrare per verificare sui provvedimenti la lealtà di Futuro e Libertà. Il cerino resta nelle mani dei finiani. Sognano di averle libere, le mani. Ma non possono permettersi di bruciarsele.