Il Palazzo resta un mistero per Silvio

Non c'è niente da fare. Nei corridoi di Montecitorio Silvio Berlusconi non ha fortuna.Anche mercoledì ha scommesso sul fatto che i finiani si sarebbero spaccati e invece se ne ritrova 35 pronti a fondare un nuovo partito. Ma questo è solo l'ultimo episodio di una lunga serie di intoppi in cui l'uomo del fare è inciampato quando ha cercato di trasformarsi in uno stratega parlamentare. Grande successo fuori dal Palazzo, seguito popolare e applausi. Dentro il Palazzo prevalgono le sabbie mobili. Fin dagli esordi della sua carriera politica Berlusconi non ha avuto vita facile alla Camera. Il primo governo insieme a Umberto Bossi e Gianfranco Fini, insediatosi nel maggio del 1994, era crollato già a dicembre non solo per le bordate della magistratura ma soprattutto per il voltafaccia della Lega. Il «ribaltone», come all'epoca fu battezzata la transumanza dei leghisti pronti a dare la fiducia al governo tecnico di Lamberto Dini sotto la regia del presidente della Repubblica Scalfaro, era stato il primo segnale di un rapporto conflittuale con i giochi di Palazzo e le maggioranze ballerine. Silvio all'epoca aveva accusato il colpo, tra velate accuse di colpo di stato e risentimento verso l'alleato traditore . «Non mi siederò mai più al tavolo con il signor Bossi», aveva detto indignato. Ma la tentazione di palazzo Chigi per il Cavaliere è stata sempre più forte delle sconfitte parlamentari. E con la Lega trasformatasi in alleato fedelissimo aveva riconquistato nel 2001 la presidenza del Consiglio. Soltanto per trovarsi un altro compagno di strada ribelle, Marco Follini. Il leader dell'Udc aveva cominciato a prendere percorsi diversi dalla Casa delle Libertà fin dai primi mesi di governo, con il caso del sottosegretario al ministero dell'Interno Carlo Taormina, accusato per i suoi incarichi di avvocato a difesa di imputati processati per mafia. E alla fine, nel 2005, gli ex democristiani erano usciti dalla maggioranza costringendo Berlusconi a un piccolo rimpasto di governo ma soprattutto indebolendolo fatalmente nelle elezioni dell'anno successivo. Ma i mal di pancia per Silvio in quei cinque anni erano arrivati anche dagli altri alleati. Fini e Bossi avevano messo in minoranza l'esecutivo più di una volta, lasciando spesso a bocca asciutta il Cavaliere sul tema a lui più caro, quello della riforma della giustizia. Che nonostante gli impegni programmatici e le buone intenzioni non è mai riuscita a diventare legge. E così Silvio ha dovuto vedere la Lega votare insieme alla sinistra sulle rogatorie internazionali e altri provvedimenti ritenuti troppo garantisti. A Berlusconi non è andata meglio quando si è trovato all'opposizione.   Tra il 1996 e il 2001 si sono dati il cambio tre premier di centrosinistra, da Romano Prodi a Massimo D'Alema a Giuliano Amato. Gli schieramenti sono cambiati, qualche deputato del centrodestra è passato con la maggioranza per tenere in sella i progressisti, tutto sotto il naso del Cavaliere. Che ha denunciato senza successo i cambi di casacca e ha sempre puntato, sbagliando, sulla debolezza dell'esecutivo. A ottobre 2007, quando Prodi era di nuovo a palazzo Chigi, c'era già aria di crisi. E Berlusconi aveva buttato il cuore oltre l'ostacolo sventolando davanti a Michela Brambilla i numeri che davano Romano per spacciato. Salvo poi constatare che la maggioranza era rimasta compatta col governo. Mercoledì ancora una volta i corridoi di Montecitorio hanno nascosto una brutta sorpresa per il Cavaliere. Il nuovo avversario sono gli agguerriti 35 di Futuro e Libertà. Nelle settimane precedenti al voto Silvio aveva mostrato i muscoli: niente paura, i dissidenti torneranno nel Popolo della Libertà. Invece è successo che gli uomini di Gianfranco Fini non hanno arretrato di un millimetro. Anzi, i due «duri» Mirko Tremaglia e Fabio Granata hanno disobbedito al presidente della Camera e hanno votato contro il governo. E Fli ha potuto festeggiare la nascita della «terza gamba». Senza i 35, l'esecutivo ha le mani legate. Silvio si deve accontentare della maggioranza blindata ottenuta al Senato. Ma a palazzo Madama proprio ieri il premier si lamentava con le senatrici del Pdl: «Vi dico la verità, ho 74 anni e sono stanco, queste difficoltà non mi aiutano...». Il voto è arrivato, ma la partita ricomincia già oggi. E quando i cinque punti del programma si tradurranno in proposte di legge il Cavaliere potrebbe avere l'ennesimo brutto risveglio.