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Fini vince il round ma perde due big

Il presidente della Camera Gianfranco Fini

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Berlusconi incassa la fiducia ma non è autosufficiente. Bossi vede ormai le elezioni imminenti. L'unico a lasciare l'aula di Montecitorio con il sorriso sulle labbra è Fini. Per lui è quasi tutto pronto. È pronto il simbolo per esempio. È un grande tricolore su fondo blu, di ispirazione futurista. Raccontano che sembri un quadro di Balla o di Boccioni. Sotto una grande scritta: «Futuro e libertà per il bene dell'Italia». Pare l'abbia disegnato Massimo Arlechino, il grafico che realizzò il simbolo di An e che è ricomparso alla conferenza stampa di fine luglio all'hotel Minerva. La settimana scorsa Nicola Pagano, un uomo di Italo Bocchino, ha registrato l'associazione Futuro e libertà, nome e sigla erano già stati messi al sicuro all'ufficio brevetti del ministero dello Sviluppo, a metà mese era stata individuata una sede in via del Seminario, proprio nello stesso palazzo dove si trova Farefuturo, la fondazione finiana. Il partito va avanti ed è lo stesso presidente della Camera a rilanciare il processo: «Martedì - annuncia - ho convocato i gruppi di Camera e Senato di Fli per una ampia discussione sul nuovo progetto politico». Nel comitato parlamentare del progetto, sottolinea Fini, «ci saranno i membri di Camera e Senato senza figli e figliastri». L'annuncio arriva proprio dopo il discorso di Silvio Berlusconi della mattinata e prima della sua replica nel pomeriggio. Anche questo ha un suo significato perché doveva essere il giorno di Silvio e diventa il Gianfranco day.   La dichiarazione viene pronunciata nella riunione in cui i gruppi decidono di votare la fiducia al governo Berlusconi. E questa è un po' la cifra della giornata finiana: avanti Silvio così ti facciamo fuori. Diciamolo subito: per Fini è un 29 settembre in cui ha senz'altro di più da festeggiare di Berlusconi. Il Cavaliere non raggiunge quota 316, Fli appare decisiva per le sorti del governo (anche se i berlusconiani fanno filtrare un'altra interperetazione dei voti: si sono dichiarati solo 617 deputati, dunque la maggioranza è a quota 309 e Berlusconi - senza finiani - è a 311). L'esecutivo resta in carica, per Fini c'è più tempo per organizzare il partito, per andare sul territorio e strutturare la formazione politica. E in generale, sintetizza Italo Bocchino, capogruppo alla Camera: «Berlusconi deve ora dialogare, includere se vuole proseguire». Gianfranco incassa il successo, però lo ottiene soprattutto grazie alle colombe. I suoi falchi volevano un vertice di maggioranza (che non c'è stato), di apporre la loro firma sotto la risoluzione della maggioranza (che non c'è stata) e infine si erano dichiarati a favore dell'astensione (che non c'è stata). Lo stesso capogruppo in aula, per dichiarare il sì, tiene un discorso piuttosto costruttivo. Gongola Silvano Moffa all'uscita dall'aula. E gongola anche Roberto Menia: «Ha vinto la ragionevolezza», dicono i due mentre s'avviano al piano nobile, ufficio di Fini. Dettano le prime condizioni. La settimana prossima si potrebbe votare la mozione di sfiducia a Bossi per le frasi su Roma: «Si scusi o non sappiamo se votiamo a favore». Vince ma sulla linea moderata perde i pezzi. Vota contro Fabio Granata, che rappresenta la linea giustizialista di Fli. Il suo no coglie tutti di sorpresa visto che per tutto il giorno in vari si erano prodigati a convincerlo per il sì. Flavia Perina s'attacca a telefono. Aldo Di Biagio è sorpreso: «Non è possibile». Benedetto Della Vedova: «Non ci credo». Bocchino la butta a ridere: «È cavallo pazzo, gli voglio bene come a un fratello, ma lo sapete com'è fatto». Lui, Granata, in serata fa sapere: «Il mio no è simbolico, resto dentro Fli». Fini lo convoca in ufficio, c'è persino chi parla di provvedimenti disciplinari ma sarebbe un controsenso per chi è uscito dal Pdl per esprimere un dissenso. Sì sofferto di Luca Barbareschi. Non vota la fiducia Mirko Tremaglia, che come aveva detto lo stesso Gianfranco a Mirabello, rappresenta la continuità storica tra Msi e futuristi. Il presidente della Camera prova a convincerlo incrociandolo in Transatlantico: «Gli dai più fastidio con un sì». Ma Mirko non molla. E il punto è proprio questo. La linea Fini ha successo dentro il palazzo, ma può essere comprensibile fuori? Boh. Per esempio i finiani raramente battono le mani durante l'intervento del premier. Appalusi da Polidori, da Consolo e Catone sulla giustizia, addirittura Alessandro Ruben viene richiamato perché si lascia andare a gesti di approvazione quando il premier cita i successi in politica estera. Niente applausi a Berlusconi ma votiamo per farlo restare in carica. Gli diamo i voti per andare avanti ma solo per logorarlo. Diciamo di sì ma solo al programma di governo. Lo vogliamo abbatterlo ma il modo migliore e farlo a fuoco lento. Speriamo di sconfiggerlo nel voto ma per noi è presto, bisogna preparare il partito. Un camminare sul filo del rasoio sempre più complesso, complicato. Ma forsde è anche la partita che Fini sa giocare meglio.

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