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Silvio va avanti, ma c'è il rischio voto

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Il tabellone dell'Aula di Montecitorio con il risultato del voto di fiducia al governo

Fini vince il round ma perde due big

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Berlusconi va. Con una maggioranza risicata, se si tolgono i voti di Fli, ma va avanti. Il suo discorso alla Camera, durato 54 minuti e durante il quale ha incassato 50 applausi, anche se non è riuscito ad ampliare di molto la coalizione che sostiene il governo, aveva lo scopo di lasciare aperte porte a centristi e delusi del centrosinistra.  Oltre ai finiani. E così è stato. Ma non è comunque un risultato che soddisfa Berlusconi. Anzi. Ieri sera, dopo il voto, il premier è andato a palazzo Grazioli dove era stata preparata una festa per il suo compleanno. E chi lo ha incontrato racconta di un Berlusconi cupo, depresso, Probabilmente gli arriva una telefonata da Bossi, che poi l'ufficio stampa di palazzo Chigi smentisce. Così come smentisce la frase in cui il premier confidava di essersi ormai rassegnato ad andare a votare a marzo. Ma di sicuro il Cavaliere non vede un futuro roseo per il governo. In mattinata Berlusconi aveva comunque provato a ricompattare il centrodestra o almeno a raggiungere una maggioranza che lo mettesse al sicuro da imboscate. In aula alla Camera ha rivendicato le cose fatte dal suo governo e ha illustrato quello che l'esecutivo è pronto a fare, i famosi cinque punti del programma su federalismo, riforma fiscale, sicurezza, giustizia e Sud. Il tutto declinato seguendo un unico concetto guida: i cittadini ci hanno votato per governare cinque anni e abbiamo il dovere di finire questa legislatura. Un appello ripetuto anche nella replica in aula, nel pomeriggio, prima delle dichiarazioni di voto: «Nessuno nella nostra maggioranza verrà meno all'impegno con gli elettori preso nel momento del voto – ha spiegato il premier – Mi aspetto qualcosa di più dall'opposizione: un grande partito di centro come l'Udc, un grande partito di sinistra democratica come il Pd hanno il dovere politico e morale di dare una risposta all'altezza della gravità del momento. Se non lo faranno, se continueranno a limitarsi a slogan e tatticismi, verranno meno al grande compito di una opposizione democratica. Mi auguro che non sia così. Mi auguro di sentire nelle dichiarazioni di voto le parole alte che il Paese attende». Berlusconi ha messo da parte toni e modi concilianti solo una volta, quando ha replicato a chi lo accusava di aver messo in piedi una compravendita di deputati.   «Sono accuse paradossali e inaccettabili. Non è possibile che quando qualche parlamentare del Pdl passa dall'altra parte è eticamente valido, mentre quando qualcuno dell'opposizione vota per il governo diventa calciomercato». E gli scissionisti dell'Udc, ha proseguito Berlusconi, «se daranno il voto non avranno nessun premio, né la nomina a sottosegretario né altro». La giornata di Berlusconi alla Camera è iniziata poco prima delle undici, quando il presidente del Consiglio è entrato in aula. Con Gianfranco Fini solo un breve ringraziamento di rito quando il presidente della Camera gli dà la parola. Il premier inizia rivendicando la centralità del Parlamento, organo fondamentale in una democrazia, e la necessità di un sistema bipolare, tagliando quindi le gambe a qualsiasi progetto di terzo polo. Ma quello che più preme sottolineare a Berlusconi è che al governo attuale non c'è alternativa. E per questo, pur non nominandoli mai, è disposto anche a riconoscere che in campo c'è una maggioranza diversa, più articolata ma che comunque si riconosce nei valori del Ppe. Musica per le orecchie dei finiani che infatti annuiscono soddisfatti. Ma sarà una delle pochissime volte. Per il resto il gruppo di Futuro e Libertà resta assolutamente impassibile durante il discorso del Presidente del Consiglio. Un solo applauso, quando il premier ricorda il sacrificio dei nostri militari in Afghanistan. Poi più nulla. Berlusconi prova a smorzare i toni dello scontro, spiega – e avverte – di vedere «troppo odio in giro, un odio che può armare la mano dell'eversione, i segnali si sono intensificati e tutti dobbiamo esserne preoccupati».   Dai banchi del Pd ascoltano in silenzio, provano a interromperlo un paio di volte solo Furio Colombo e Roberto Giachetti. Il premier li fulmina con lo sguardo e gli concede solo un «devo mordermi la lingua per non fare battute taglienti». La contestazione sale quando Berlusconi parla del completamento della Salerno-Reggio Calabria entro il 2013 ma anche stavolta il presidente del Consiglio ribatte con un «siamo in ritardo per la situazione ereditata dal centrosinistra». Fuori dai cinque punti del programma c'è il rilancio sulle riforme istituzionali: «Bisogna rafforzare il potere dell'esecutivo, superare il bicameralismo perfetto, ridurre il numero dei parlamentari. Su questo c'è la possibilità che si possa arrivare all'approvazione delle riforme entro la fine della legislatura». Berlusconi finisce di parlare quando mancano pochi minuti a mezzogiorno, tutto il Pdl si alza per applaudirlo. E più tardi ai suoi ministri Berlusconi confida: «Gli italiani devono sapere chi sta cercando la rissa e chi, invece, tenta di governare».

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