Se il cerino si spegne brucia l'Italia
E ora cosa succede? Niente, prosegue il film programmato in sala in questi mesi. Gianfranco Fini e i futurlibertini continueranno a logorare la maggioranza, strapperanno e cuciranno il vestito del governo finché sarà consentito loro di farlo. Il gioco del cerino va avanti. Né Berlusconi né Fini hanno intenzione di bruciarsi le dita, ma se prima era impraticabile la coabitazione nella stessa casa, senza una delimitazione dei confini diventerà inaccettabile anche incontrarsi nello stesso quartiere. Berlusconi ha fatto bene a mettere la fiducia, a Montecitorio ha usato i toni giusti e svolto un buon discorso. Il Cavaliere ha il dovere di provare ad andare avanti, ha incassato il voto, ma l’operazione di allargamento della maggioranza alla Camera non è ancora compiuta. L’autosufficienza ancora non c’è. Il governo ha più voti oggi (342) di quanti ne avesse il giorno del suo insediamento (335) ma a questa contabilità manca la coesione politica di allora. Oggi al Senato emergerà uno scenario molto più chiaro della situazione complessiva. In troppi non ricordano che siamo in un regime parlamentare bicamerale e la stabilità passa anche per Palazzo Madama. Qui la maggioranza sarà ampia e l’autosufficienza un dato solido. In questo scenario, un governo alternativo non si può fare e solo due sono le scelte possibili: 1. vince il partito della responsabilità e si va avanti; 2. vince il partito dello sfascio e si va al voto. Il ribaltone in queste condizioni è dal punto di vista istituzionale impossibile e fuori dai confini di questa maggioranza ci sono le elezioni. La Lega ha già sentito l’aria delle urne. Vedremo chi si assume la responsabilità di mandare tutto all’aria, consegnare il Nord al Carroccio e scagliare il Paese verso la secessione, altro che federalismo e riforme costituzionali. Si spegne il cerino, brucia l’Italia. Fini può dire di essere determinante e questa è l’unica arma retorica che gli è rimasta, ma la sua prospettiva è legata a doppio filo alla strategia (e pazienza) del Cavaliere, ai timori dell’establishment, che lo sostiene a corrente alternata perché dopo l’affaire Tulliani non si fida più, e alle sortite delle procure. Così Fini può demolire, ma costruire un’alternativa è altra cosa. Soprattutto finché rimane sullo scranno di Montecitorio. L’istituzione della Presidenza della Camera è sempre più ammaccata: ieri, mentre il capo del governo illustrava i cinque punti del suo programma, Fini ha annunciato la nascita del suo partito. Uno sfregio non a Berlusconi, ma alla carica che egli ricopre perché in un momento così importante per il Parlamento, non si indossa l’abito double face del capo fazione e del presidente super partes. Le contraddizioni prima o poi esplodono. E Fini per sopravvivere politicamente ha bisogno subito di un partito e deve lavorarci in prima persona. Per questo penso che si dimetterà. Deve fare l’attaccante e non può permettersi più di perdere tempo indossando la finta maglia dell’arbitro.