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Bossi pensa già alle elezioni

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Umberto Bossi parla con Giulio Tremonti alla Camera dei Deputati

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L'Umberto é furioso. Dopo una giornata passata a Montecitorio per votare la fiducia al governo, il leader del Carroccio ha davanti a sé la dura realtà dei numeri. L'esecutivo ha superato la prova, ma Berlusconi non è riuscito ad ottenere quell'ampia maggioranza che gli avrebbe permesso di governare anche senza l'appoggio dei finiani di Fli e dell'Mpa del governatore della Sicilia Raffaele Lombardo. In altre parole, se fino a pochi giorni fa, a tenere le redini del Paese, erano il premier e il suo fedelissimo alleato Bossi, da ieri questo sistema è stato definitivamente archiviato. Una situazione che, almeno a quanto si apprende dalle prime dichiarazioni del Senatùr rilasciate nel Transatlantico della Camera, sembra averlo messo in agitazione a tal punto che ha immediatamente espresso tutti i suoi dubbi sulla tenuta del Governo: «I numeri sono risicati, la strada è stretta. Nella vita è meglio prendere la strada maestra, e allora la strada maestra era il voto. Berlusconi non ha voluto, e ora siamo qui...». Una sonora tirata d'orecchie al premier e alla sua decisione di voler evitare il voto anticipato che invece la Lega, più e più volte, aveva chiesto a gran voce. E così ieri Bossi si è sfogato. Ora a traballare ci sono i decreti attuativi del federalismo fiscale che, con una maggioranza schiacciata dai veti dei «futuristi» e degli esponenti dell'Mpa, rischiano di essere stravolti se non addirittura abbandonati. E così l'unica soluzione torna ad essere il popolo. Quella stessa gente che, all'ultimo raduno della Lega a Venezia, ha chiesto a gran voce elezioni anticipate. Una soluzione che invece, Roberto Maroni, in una conversazione con Nichi Vendola e Franco Giordano, rubata dalle telecamere di La7 - mette già in preventivo: «Tanto a marzo si vota...». I problemi per Bossi però, almeno nell'immediato futuro, sembra saranno altri. Infatti, già nei prossimi giorni si dovrebbe discutere in Parlamento la mozione di sfiducia al leader nordista presentata dal Pd in seguito all'offensiva interpretazione che Bossi aveva dato all'acronimo Spqr («Sono porci questi romani»). Ed è lo stesso Bossi a tracciare i possibili risvolti che potrebbe avere la mozione, sostenuta anche da Udc e Idv, spiegando che, se alla Camera dovesse passare la sfiducia «il governo non cadrebbe. Vado io a casa ma si incazzerà il Nord e la sua gente». E così, mentre ieri il presidente della Camera Gianfranco Fini convocava per questa mattina la conferenza dei Capigruppo che dovrà decidere sulla calendarizzazione della mozione di sfiducia su Bossi, il viceministro leghista alle Infrastrutture, Roberto Castelli, si sfogava: «Se sfiduciano Bossi, non penso proprio che riuscirò a restare in un governo che vede in Parlamento una maggioranza che ha mandato a casa il mio segretario».

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