Il moralismo ipocrita della sinistra
Se lasci il Pdl e passi a un altro gruppo o partito sei un eroe da celebrare per il coraggio leonino dimostrato. Se invece lasci l’opposizione e decidi di sostenere a chiare lettere la maggioranza sei un rinnegato, uno che secondo Pier Luigi Bersani è meritevole dell’attenzione della magistratura perché in quel cambio di campo c’è il sospetto della corruzione. Il doppiopesismo della sinistra italiana ancora una volta si risveglia (ma quando mai s’è sopito?) quando il gioco parlamentare le è sfavorevole e l’abilità e tenacia dell’avversario superano la sua fantasia e abilità nella manovra di Palazzo. I parrucconi diranno che non è bello vedere la transumanza dei parlamentari, che il mercato delle vacche non è degno del Parlamento e bla bla bla. Con il moralismo a prezzi stracciati non si va lontano nell’analisi politica e soprattutto si rischia di dimenticare due o tre cosette della propria storia recente. Quando all’inizio del 2007 il governo Prodi entrò in crisi, il coordinatore della segreteria Ds Maurizio Migliavacca dichiarò: "La maggioranza deve dare prova di compattezza e coesione. E su questa base credo si possa e si debba verificare se è possibile un allargamento della maggioranza ad altri singoli parlamentari. Sulla base del programma dell’Unione chiarito e rilanciato". (Agenzia Ansa, 22 febbraio 2007, ore 11.34). Sostituite al nome di Migliavacca quello di un capogruppo del Pdl e al posto della parola Unione mettete Pdl o maggioranza, vedrete che lo scenario politico sarà esattamente lo stesso. Andiamo avanti. La crisi continua e il verde Pecoraro Scanio informa il popolo che "chiunque voterà il governo farà un atto di lealtà repubblicana visto che chi ha vinto le elezioni in democrazia ha il diritto di governare". (Agenzia Ansa, 26 febbraio 2007, ore 16.42). Potrei tirar fuori dall’archivio decine di dichiarazioni di questo tenore, ma non intendo infierire, mi pare ce sia abbastanza per concludere che le dichiarazioni della sinistra, degli ex alleati finiani e dei centristi siano piene di ipocrisia e viziate da una memoria cortissima. La politica non è il circolo dell’uncinetto, ma un saloon dove la scritta «non sparate sul pianista» viene ignorata perché il pianista in Parlamento è il tipo da disinnescare, è quello che vota per sé, per gli altri e ogni tanto decide di cambiare bandiera. Bello? Brutto? Queste categorie estetiche, il bon ton da salotto chic (dove poi in realtà si consumano da sempre le peggiori trame) non hanno a che fare con la vita dei partiti, la lotta dura tra maggioranza e opposizione. Se a qualcuno non piace lo spettacolo, può tranquillamente decidere di tornare ai cartoni animati di Heidi e rinchiudersi nell’ovattato mondo della fantasia. Il Parlamento è il luogo dove emergono contrapposti interessi e se tutto questo al segretario del Partito democratico non piace, allora dovrebbe voltarsi indietro e chiedersi come mai i suoi predecessori hanno usato le stesse armi che ora usa Berlusconi per mandare avanti la legislatura. Il presidente del Consiglio ha prima di tutto un dovere: continuare a governare. Sul suo tavolo c’è anche l’opzione della crisi, la carta delle elezioni, ma un capo di Stato responsabile prima verifica i numeri in Parlamento, chiede la fiducia, fa la conta e giorno per giorno controlla se oltre ai voti c’è anche la coesione politica necessaria per far funzionare l’esecutivo. Oggi Berlusconi farà tutto questo e se il Pd pensa davvero che sia materia per la magistratura, allora la deriva giustizialista della sinistra è compiuta in toto e il Pd può tranquillamente chiudere bottega per affidare il governo del Paese agli uffici delle procure. Non è così che si fa politica. Non è con il moralismo un tanto al chilo che si costruisce un’alternativa per il Paese, non è con le sparatone e le crociate togate che ci si propone agli occhi degli elettori. Chi vota ha chiaro lo scenario e mi sorprende che un uomo piuttosto pragmatico come Bersani non l’abbia colto. Gianfranco Fini ha prima avviato una dura guerra di logoramento nei confronti del Cavaliere, poi ha accarezzato l’idea dello strappo e per farlo ha agitato armi retoriche che gli si sono rivoltate contro. Un boomerang. Non cominci una strumentale battaglia sulla moralizzazione se in casa ti ritrovi un tipetto come Giancarlo Tulliani. Non sali in cattedra e alzi il ditino come un maestro supponente se hai autorizzato la vendita di una casa ereditata dal tuo partito a una società che ha sede in un paradiso fiscale che è nella black list dell’Ocse, non neghi alla stampa il diritto di chiedere e interrogare. E dopo due mesi di articoli sul fattaccio, non lo liquidi con un videomessaggio che non spiega niente e finisce solo per confermare tutti i dubbi espressi dalla stampa libera. Questo è il punto della faccenda in corso. Tutto il resto fa parte di un mondo arcadico che non esiste. Oggi Berlusconi illustrerà il suo programma per continuare la legislatura e chiederà il voto di fiducia. Quella del Cavaliere è una mossa cristallina. Non ha usato la scorciatoia della mozione senza conseguenze. Mette in gioco il futuro del governo e lo fa mettendo tutti i parlamentari di fronte alla propria responsabilità. La chiarezza è dovuta non solo al capo dell’esecutivo, ma soprattutto al Paese, al corpo elettorale che ha scelto chiaramente una maggioranza e le ha dato il mandato di governare. Fini e i finiani sono di fronte a questa semplice domanda: volete continuare o no? Se diranno no, saranno responsabili della crisi, con un sì allungheranno la propria vita e proveranno a ripartire con la strategia del logoramento. E proprio per evitare di dipendere da una fazione ribelle Berlusconi ha provato in queste settimane ad allargare la maggioranza. Qualunque sia il risultato di oggi, ha fatto la mossa più logica e coerente: ha messo il cerino nelle mani dei finiani.