Da Montecarlo a Montezuma
Avanti un altro. Appena uscito di pista Gianfranco Fini, alla curva del Tabaccaio del circuito di Montecarlo, ecco pronto ai box un altro pilota che si considera particolarmente adatto alla guida morale e materiale dell’Italia. Di più: un vero fuoriclasse, un uomo del destino al quale dovrebbero rivolgersi tanto i moderati delusi dal Cavaliere, quanto i progressisti frastornati dai fiaschi del Pd. Per non parlare dei centristi, il cui panorama è decisamente molto affollato: se non di voti, certo di aspiranti capi. Stiamo parlando di Luca Cordero di Montezemolo. Ieri la sua Ferrari ha trionfato a Singapore, a differenza di quella di Giancarlo Tulliani rimasta prudentemente ai box (monegaschi): ma LCdM aveva la testa altrove, alla politica italiana. E così ha indossato i panni di presidente della fondazione Italia Futura e incaricato Carlo Calenda e Andrea Romano, di vergare un editorialino di fuoco per il relativo sito internet, testo prontamente segnalato e rilanciato da agenzie e tg. Che cosa scrivono Calenda (impreditore campano, ex di Sky e Ferrari, ex direttore degli affari internazionali della Confindustria quando a presiederla era proprio Luca), e Romano (direttore della fondazione, docente a Tor Vergata, editorialista del Sole-24 Ore)? L’obiettivo dichiarato è Umberto Bossi, «Che parla molto ma ha combinato ben poco», ma il vero bersaglio è Silvio Berlusconi: «Sedici anni di non scelte che hanno portato il paese ad impoverirsi materialmente e civilmente». Insomma, tramontate le ambizione finiane, c’è Montezemolo deciso a raccoglierne il testimone: per fortuna soprattutto del popolo della sinistra, e di Repubblica, che trovano subito un altro papa straniero. Montezuma, come lo chiamava l’Avvocato, ha scoperto già da un po’ che l’Italia non ha una classe dirigente all’altezza, ancora più se paragonata ai doppiopetti e alle camicie botton down che indossa. E che ha un governo, quello del Cav., del quale gli italiani, «quelli che lavorano e producono hanno piene le tasche». Peccato che Luca non scenda precisamente da Marte. Ex presidente della Fiat, fatto fuori da Sergio Marchionne. Ex presidente della Confindustria, dove i suoi fedeli hanno mosso guerra, ricambiati, ad Emma Marcegaglia. Ex presidente della Luiss. Ex presidente della Fiera di Bologna. Ex presidente degli editori di giornali, e, nel 1990, a capo di Italia 90, il comitato organizzatore dei Mondiali di calcio: come è noto, un’esperienza mirabolante, soprattutto per le tasche dei contribuenti, e per le infrastrutture romane. Non è la sola ombra nel suo passato cosiddetto imprenditoriale. Cesare Romiti, ex numero uno della Fiat, raccontò: «Abbiamo pescato un paio di persone che pretendevano denaro per presentare qualcuno all’Avvocato. Uno dei due l’abbiamo mandato in galera, l’altro alla Cinzano». Intervistando Romiti qualche mese fa, Il Giornale (sempre lui!) ha scritto: «Quello finito alla Cinzano ammise: "È vero, per favorire il contatto con Gianni Agnelli mi sono fatto dare 80 milioni nel cofanetto vuoto di un libro di Enzo Biagi". Si tratta di Montezemolo». Risposta di Romiti: «Non faccio commenti». Siamo dunque ragionevolmente certi che si profilano altre accuse di dossieraggio. Ma evidentemente non è questo il punto. Che è invece un altro. Quando Montezemolo accusa governi e politici di non aver fatto nulla in questi sedici anni, dovrebbe magari ricordare dove nel frattempo era lui, e che cosa ha in concreto combinato dall’alto delle numerosissime poltrone che ha occupato. Ha ottenuto dei successi, certamente. Ma poi si è visto che, dietro la facciata, la realtà era ben altra: a cominciare proprio dalla Fiat. E che forse molte poltrone e molti di quei successi apparenti si dovevano proprio ai rapporti quasi parentali con la famiglia Agnelli ed in particolare alla benevolenza dell’Avvocato. Quando al Lingotto è arrivato Marchionne, uno che Gianni Agnelli non l’aveva mai incontrato, LCdM è finito nel cono d’ombra. Ora c’è l’ipotesi che la Ferrari, che dopo lo spin off è finita nel gruppo auto - contro il parere e le aspettative di Montezemolo - venga quotata in borsa: per Luca, significherebbe la perdita di un’altra presidenza. E quindi la necessità di trovarsi un nuovo ruolo. In politica? Perché no. Senza passare da una campagna elettorale e dal giudizio delle urne, cosa che in fondo costa fatica? Meglio ancora. Perché nessuno contesta a Montezemolo il sacrosanto diritto di parlare e criticare; anzi. Ma la politica, ed il governo, da qualunque parte la si faccia, vogliono dire lavoro, stringere parecchie mani sudate, ed infine contare i voti. E questo a Luca non piace.