Tassazione zero e segreto bancario Così nasce il paradiso
Nessuna possibilità per gli ispettori del fisco e la magistratura di mettere il naso nelle loro banche e istituzioni finanziarie. Per anni è stato questo il punto di forza dei paradisi fiscali. Stati che hanno prosperato sull'arrivo di capitali di origine dubbia. In parte legati ad attività criminali e in cerca di pulizia, in parte arrivati dai paesi occidentali da facoltosi imprenditori che, pur avendoli conseguiti con attività legali, cercavano di sottrarli alle mire del fisco nazionale. A mettere in guardia i paesi occidentali sulla pericolosità per le economie mondiali dei paradisi fiscali è stata l'Ocse (l'organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico). Nel 1998 l'Organizzazione ha pubblicato un rapporto sulla concorrenza fiscale dannosa intitolato «Harmful Tax Competition: An Emerging Global Issue». Dove si distingue tra «paradisi fiscali» (tax heavens) e «regimi fiscali preferenziali dannosi» (harmful preferential tax regimes). Regimi fiscali preferenziali ce ne sono tanti e, a certe condizioni, possono provocare una competizione fiscale dannosa. Ma i veri e propri paradisi fiscali non si caratterizzano solo per il basso o nullo livello di tassazione. Ai fini della loro individuazione, infatti, il rapporto elenca alcune condizioni: nessuna tassazione (ovvero livello di tassazione effettivo solo nominale); assenza di un effettivo scambio di informazioni con altri Stati e mancanza assoluta di trasparenza. A questo si collega anche la mancata cooperazione nella lotta al riciclaggio di denaro sporco. Sulla base di questi criteri, l'Ocse ha individuato appunto 41 «giurisdizioni» (paesi o territori) definibili come veri e propri paradisi fiscali. La lotta attuata negli anni successivi dai paesi occidentali contro i paradisi ha subìto un'accelerazione impetuosa nei mesi più acuti della crisi finanziaria mondiale. L'Ocse ha dato una definizione precisa e riconosciuta universalmente di paradiso fiscale: uno Stato o un territorio autonomo dove l'imposizione tributaria è nulla o molto modesta, in cui non occorre svolgere un'effettiva attività economica per le imprese che vi si stabiliscono e che si oppongono a reciproci scambi di cooperazione fiscale con le autorità di altre nazioni. Non solo. Il gruppo di economisti di Parigi ha anche stabilito un modello di accordo fra gli Stati, definito con l'acronimo «Tiea». Per uscire dalla lista dei paradisi fiscali, un Paese deve, fra le altre cose, stipulare almeno dodici Tiea con altre nazioni. Negli ultimi mesi, di Tiea ne sono stati stipulati centinaia in tutto il mondo. Sempre più territori hanno infatti cercato l'accordo con le potenze economiche per evitare l'isolamento e la rovina finanziaria. Così la lista nera si è trasformata in una lista grigia in cui sono presenti altri 22 paesi. Ma grazie agli sforzi di cooperazione infine paesi come San Marino, il Principato di Monaco, le isole Cayman, le Bahamas, Singapore, la Svizzera e tanti altri Stati sono così recentemente stati depennati anche dalla cosiddetta “gray list” dell'Ocse.