Pontone a un passo dall'addio "Voto la fiducia al premier"
«Voto la fiducia a Berlusconi». Franco Pontone risponde secco. E se Fli non lo fa? «Non so, io non sono inquadrabile». L'ex tesoriere di An si prepara a consumare lo strappo con i finiani. E con Fini. Deluso, afflitto, questo gentiluomo ottantaduenne si sente quanto meno isolato, abbandonato. La firma sul contratto di vendita infatti era sua (in virtù di un'ampia delega di Fini) e se l'inchiesta della magistratura sull'affaire Montecarlo andasse avanti sarebbe l'unico a pagare. Per questo si aspettava e si aspetta ancora che il suo leader scenda in campo e lo difenda. Dica chiaramente come stanno le cose. Spieghi che non autorizzò la vendita dell'appartamento nel Principato ma lo ordinò. In fin dei conti è una questione di verbi. Anzi, di verbo. Quello utilizzato dal presidente della Camera negli otto punti dell'8 agosto quando al quinto capo il presidente della Camera affermò: «Autorizzai il senatore Pontone alla vendita come accaduto altre volte in casi analoghi». Insomma, una frase che addossa le responsabilità su Pontone. Solo che nelle volte precedenti l'allora tesoriere di An procedette all'asta o a vendita a valore di mercato. E l'indagine della magistratura verte proprio sul prezzo, troppo basso. Il caso sta imbarazzando Fli. «Un leader difende i suoi fino alla fine - dice un finiano che chiede l'anonimato -. Non possiamo dimostrare che si scarichi tutto su un gentiluomo». Che cosa succede tra i due? Difficile dirlo. Chi fissò quel prezzo? Fece Fini, trattò con l'acquirente, stabilì il prezzo e quindi ordinò a Pontone? O la discussione con i compratori la condusse il tesoriere? Di sicuro Pontone ricevette un ordine preciso: «Franco, vai a Montecarlo dal notaio Aureglia. Firma la vendita e prendi i soldi». Esegue nel luglio del 2008. Quando arriva dal notaio monegasco vede il compratore, si presenta: «Piacere, sono il senatore Pontone». Aureglia rimane sorpreso dal fatto che il venditore non lo abbia mai visto, ma non c'è da stupirsi: nell'era di internet si fa tutto via mail. Quel che è certo è che appena scoppia lo scandalo di Montecarlo, il senatore si reca da Fini. Chiede protezione. Il presidente della Camera gli assicura tutela. Gli fa capire che non c'è da preoccuparsi. Ma la situazione degenera. Nuovo incontro a Montecitorio, questa volta c'è anche Giulia Bongiorno. Pontone vede scricchiolare la prima promessa di difesa totale. Chiede un nuovo incontro con Fini faccia a faccia. Ma i suoi dubbi vengno diradati. Poi Gianfranco va il 6 agosto nello studio della Bongiorno e l'8 vengono diffusi i famosi otto punti. Il senatore si sente male, si chiude in casa a Napoli. Soffre, non dorme la notte. Cade e si rompe il braccio destro. I rapporti con Fini si fanno freddi. Non va a Mirabello. Il presidente della Camera lo chiama dopo, va a La7 intervistato da Enrico Mentana e annuncia: «Pontone è un galantuomo». Ma non s'accolla nessuna responsabilità. Il senatore si sente abbandonato. Va dai magistrati a metà settembre e rende la sua testimonianza. La settimana scorsa tutto crolla. L'ex tesoriere fa sapere che non parteciperà alle riunioni di gruppo, neanche per eleggere il capogruppo. Poi c'è la riunione dei garanti di An proprio sul caso di Montecarlo. Pontone non fa sapere che fa, lascia immaginare che si dimetterà dalla guida del comitato di gestione. Fini lo chiama al telefonino e gli chiede di non andare. Il senatore a quel punto decide di andare e si dimette. Ora l'inchiesta si complica. Uno dei garanti di An, il larussiano Antonino Caruso, annuncia che lui aveva presentato un'offerta anche più alta per l'appartamento. Circa un milione di euro. Agli atti del partito non risulta però alcuna offerta formale ma Caruso rilancia. Annuncia di aver portato nuove carte alla magistratura. L'inchiesta si complica anche se Fini è convinto che al massimo per fine ottobre tutto sarà archiviato. Prima di aspettare quella data, però, potrebbe cambiare il verbo e assumersi la responsabilità di quanto accaduto. Senza lasciare che tutto venga scaricato su un vecchietto gentiluomo di cui nessuno ha mai osato dubitare.