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Fini e l'ossessione dell'alleato senza nome

Gianfranco Fini

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L'ascolto del comizietto telematico che ha fatto il presidente della Camera non ha chiarito la controversa vicenda della casa di Montecarlo, passata dalla proprietà di Alleanza Nazionale alla disponibilità di suo cognato, ma in compenso ha aiutato a capire la ragione, forse più psichica che politica dell'atteggiamento critico di Gianfranco Fini nei riguardi di Silvio Berlusconi. Che non a caso egli non ha mai chiamato per nome e cognome, mostrando di avvertirlo più come un'ossessione che come un alleato. Al quale, d'altronde, i nuovi gruppi parlamentari del presidente della Camera garantiscono una fiducia tanto pelosa quanto incerta, limitata solo ai titoli dei provvedimenti che di volta in volta il governo vorrà proporre o sostenere, ma non ai loro contenuti. Su questi ultimi i finiani reclamano un negoziato continuo, al quale intendono partecipare con l'occhio e il cuore rivolti più all'opposizione, con la quale hanno già cominciato a votare nelle aule del Parlamento, che ad una maggioranza di cui pur pretendono di essere considerati la terza gamba, accanto a quelle della Lega e naturalmente del Pdl. Che peraltro Fini ha detto nel recente discorso di Mirabello di considerare morto, o regredito ad "una Forza Italia allargata" agli ex colonnelli "traditori" di Alleanza Nazionale. Nel comizietto di ieri il presidente della Camera ha praticamente contrapposto la sua figura di persona mai raggiunta da "un avviso di garanzia" a quella del presidente del Consiglio, che di avvisi di garanzia e di processi notoriamente ne ha collezionati parecchi. E a proposito dei quali Fini ha omesso di ricordare, con ciò segnando una ulteriore svolta nei rapporti con il Cavaliere, la natura sospetta che aveva altre volte riconosciuto. Egli si è insomma proposto ieri al pubblico come la persona perbene del centrodestra, accantonata e combattuta in quanto tale dalla persona, diciamo così, permale. Che sarebbe il presidente del Consiglio, con tutte le sue pendenze giudiziarie e con tutte le sue critiche ai magistrati. Che Fini da qualche tempo non gli perdona più, leggendole come insopportabili spallate alla "legalità". Resta naturalmente da capire per quale motivo, avendo di Berlusconi questa opinione, Fini non solo gli sia rimasto per tanto tempo alleato ma abbia accettato poco più di un anno e mezzo fa di fare con lui un partito, dopo averne peraltro sperimentato i vantaggi elettorali presentando liste comuni per la Camera e per il Senato. E per quale motivo abbia preteso nei negoziati propedeutici alla formazione del partito unico, in caso di vittoria elettorale, l'assunzione della Presidenza della Camera. Che di solito è una posizione dalla quale ci si aspetterebbe un atteggiamento un po' più distaccato, se non neutrale, di quello che invece Fini ha riservato al capo del governo in questa sfortunata legislatura. Della quale francamente vedo la sorte ancora più compromessa dopo avere sentito ieri sera quanto ancora il presidente della Camera avverta Berlusconi, ripeto, come un'ossessione. Come l'origine e la causa di tutte le sue attuali difficoltà, e forse persino dei suoi errori, che - bontà sua - Fini ha finalmente ammesso di aver potuto commettere parlando della strana vendita della casa di Montecarlo. Essa fu donata al suo partito da un'elettrice che non poteva certo immaginare quale fine avrebbe fatto, e quali pasticci avrebbe procurato a quella che, poveretta, considerava "la buona causa" della destra.  

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