Resa dei conti per Tanzi La procura chiede 20 anni
Vent'anni di reclusione per essere stato l'anima «della più grande fabbrica di debiti del capitalismo europeo». La procura di Parma, al termine della lunga requisitoria nel maxiprocesso per il crac da 14 miliardi di euro che nel 2003 mise in ginocchio il colosso agroalimentare di Collecchio e sul lastrico oltre 30mila risparmiatori, ha chiesto una condanna esemplare per Calisto Tanzi. In attesa dell'intervento dei difensori e della pronuncia del tribunale che è attesa entro l'anno, la procura parmense guidata da Gerardo Laguardia, che ha svolto personalmente la parte finale della requisitoria, ha ricostruito tutta la complicatissima rete di intrecci che ha portato al default. Chiedendo condanne pesanti anche per gli altri protagonisti della vicenda: dodici anni per il fratello Giovanni, nove anni e sei mesi per l'ex direttore finanziario Fausto Tonna, considerato la «mente» della truffa finanziaria più grande della storia italiana. Fondamentale è stato però il suo contributo dato agli inquirenti nella ricostruzione del crac, che gli è valso la concessione delle attenuanti generiche. Lo stato d'insolvenza della Parmalat fu dichiarato il 22 dicembre 2003. Secondo Enrico Bondi, non ancora commissario straordinario, ma chiamato al capezzale dell'azienda di Collecchio dallo stesso Calisto Tanzi per un disperato tentativo di salvataggio, dalle casse della multinazionale mancavano quattro miliardi. Era un conto ottimistico, poco meno di un terzo di quello che si sarebbe poi rivelato. Il 26 dicembre Tanzi fu arrestato. In manette finirono anche Francesca e Stefano Tanzi, i figli dell'ex patron, che nell'azienda di famiglia avevano rivestito incarichi direttivi (direttore commerciale e amministrativo, oltre che presidente del Parma calcio, lui, dirigente Parmatour lei), Fausto Tonna ed altri big del gruppo. Quando partì l'udienza preliminare erano 71 gli indagati quasi tutti ex amministratori, sindaci e revisori della multinazionale del latte ai quali fu contestata l'associazione per delinquere, la bancarotta fraudolenta e il falso in bilancio e le false comunicazioni sociali. Nel corso degli innumerevoli interrogatori Tanzi e Tonna ammisero molte delle rispettive responsabilità nel crac, ma puntarono il dito contro gli istituti di credito italiani ed esteri coinvolti.