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La prima Repubblica e le mosse dei finiani

I finiani Fabio Granata, Italo Bocchino e Giorgio Conte

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La sopravvivenza della legislatura è, ormai, appesa a un filo che la tensione rende sempre più sottile. Il limite di rottura è vicino indipendentemente dall'esito del voto che farà seguito all'intervento di Berlusconi in Parlamento per la presentazione dei famosi cinque punti. Quello che è accaduto ieri l'altro e le reazioni che ne sono seguite per tutta la giornata di ieri non lasciano dubbi. La posizione assunta ufficialmente dai parlamentari di Futuro e Libertà sulla questione dell'uso delle intercettazioni nel caso Cosentino è indicativa di una scelta politica che, comunque motivata, rimarca una inconciliabilità sostanziale di posizioni tra finiani e berlusconiani sul tema della giustizia e dell'uso politico della giustizia. La scelta dei parlamentari che fanno capo al Presidente della Camera, alla vigilia del discorso di Berlusconi, è una scelta tutta politica e pretestuosa. Una scelta che suona come un avvertimento di tipo ricattatorio nei confronti di quella maggioranza della quale, pure, essi continuano a proclamare di voler far parte. È il comportamento classico, tipico della prima repubblica, secondo il quale correnti e partiti marginali usavano del «potere di ricatto» per condizionare la vita dei ministeri e subordinarla a estenuanti e mortificanti giochi di trattative. Ma le cose, ora, nel bene o nel male, in un sistema fondato sul bipolarismo sono cambiate. Un sistema di questo genere presuppone, ed esige, una chiarezza e una linearità di comportamenti che in sede di voto dovrebbero essere coerentemente esplicitate. Il non adeguarsi a questa logica significa, inevitabilmente, ricadere in quella logica della «palude» che ammorbò, con i suoi miasmi, la storia della prima repubblica. La minaccia, ché di ciò si tratta, di una parte della maggioranza di votare contro specifici provvedimenti del governo, in nome di una presunta difesa della legalità minacciata dagli interessi privati, equivale non a una scelta di onestà morale ma a un basso tentativo di speculazione politica. Delle due l'una: o si riconosce che le proprie posizioni non coincidono più con quelle del governo e se ne traggono le conseguenze anche ritirando i propri rappresentanti dalla guida dei ministeri o ci si adegua alla linea prevalente. Ogni altra ipotesi condanna la vita del governo alla fibrillazione permanente e all'impotenza legislativa. Il che significa che la componente che ne è responsabile, il gruppo di Fli, se, come asserisce, non fa parte dell'opposizione propriamente detta né della fantasiosa «opposizione responsabile», esprime pur sempre un tipo di opposizione che può essere definita «opposizione irresponsabile». Che si tratti di una «opposizione irresponsabile» lo dimostra poi un altro fatto accaduto ieri: la rottura delle trattative o, se si preferisce, della tregua con il Pdl come ritorsione per le rivelazioni sulla vicenda della casa di Montecarlo. È davvero inaudito che, con leggerezza e incoscienza, si tirino in ballo teorie complottistiche di sinistra memoria e si vaneggi sul ruolo dei servizi segreti o del dossieraggio a proposito di una inchiesta giornalistica sgradita al Presidente della Camera.   È inaudito che si condizionino scelte politiche e, probabilmente, il futuro dello stesso governo ai pruriti e ai fastidi provocati da una stampa che fa, piaccia o non piaccia, il suo dovere di informare e di porre e porsi domande. È inaudito, ancora, che i risentimenti personali di un uomo politico e dei suoi fedelissimi nei confronti di Berlusconi si traducano, di fatto, nella richiesta di interrompere le inchieste giornalistiche, cioè in una vera e propria censura. Che richiama alla memoria altri e più tristi tempi. È inaudito, ma anche politicamente incosciente e, per molti versi, incomprensibile dal momento che queste tensioni rendono sempre più fragile, come si diceva in apertura, il filo che garantisce la sopravvivenza non del governo ma della legislatura. E danno l'impressione che, per odi personali, il gruppo che fa capo al Presidente della Camera finirà per segnare, direttamente o indirettamente, l'atto di morte della legislatura stessa.

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