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La falsa pace

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Walter Veltroni (S) e Pierluigi Bersani (D)

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Dario Franceschini e Piero Fassino non entrano in maggioranza ma quasi, e alla fine votano la relazione di Pier Luigi Bersani; Beppe Fioroni non vuole fare «la fine degli Armeni» e lancia l'opa per la leadership sui cattolici del Pd; Walter Veltroni resta nel Pd, sua «ragione di vita» ma, come spiega il fidato Giorgio Tonini, tiene «aperta l'inquietudine». È la sintesi della direzione di ieri del Pd che si è chiusa con un voto unanime e 32 astenuti. Dopo lo scontro sul documento dei 75, ieri diventati 76, il Pd prova a ricucire e sin dalla mattinata gli uomini di Walter Veltroni colgono segnali di apertura e di distensione nella relazione di Bersani. Ma la riunione di vertice certifica il cambio di pelle, o meglio ancora la fine della minoranza nata dopo il congresso con il nome di Area Democratica. Franceschini, il segretario che sfidò Bersani al congresso, spiega che «lo schema maggioranza-minoranza non funziona più e che serve una gestione collegiale perché all'emergenza si risponde con l'emergenza». Franceschini e Fassino assicurano che non si appiattiranno sul vertice ma i maligni dicono che presto arriverà un incarico per Sergio D'Antoni. Tanto basta perchè Giuseppe Fioroni, promotore del documento insieme a Veltroni e Paolo Gentiloni, entri in rotta di collisione con il suo padre nobile, Franco Marini, e l'altro delfino, Dario Franceschini. Fioroni nega di essere il «sospetto» accusato ieri sull'Unità di voler lasciare il Pd «perchè - avrebbe detto - non ho fatto il Pd perché diventi il Pc degli anni '30 dove i deviazionisti venivano cacciati». I cattolici, afferma Fioroni restano nel Pd «a schiena dritta» e, secondo l'altra metà dei cattolici che stanno con Franceschini, ora puntano alla leadership della minoranza. «Molti preferirebbero - è la sfida dell'ex ministro - che me ne andassi ma i tanti Fioroni sul territorio faranno il Pd più forte». Un Pd più forte e «ragione della mia vita», rimarca Walter Veltroni, preso di mira in questi giorni per il «disagio», come hanno detto Bersani e Franceschini, provocato dal documento. Veltroni e Gentiloni apprezzano il passo avanti del segretario ma negano l'equazione discussione-divisione. Ma Veltroni sottolinea: «Bersani si candidò mentre io ero in campagna elettorale per la Sardegna dicendo che non voleva criticare ma solo discutere perchè in una famiglia si fa così e ai bambini impauriti i genitori spiegano che è bene. Io voglio solo discutere». Alla fine Bersani prova a stendere un velo di «pace» ma senza rinunciare alle critiche. «Nella mia relazione ho espresso il giudizio di un errore che ha determinato una situazione che la nostra gente non ha compreso», ha spiegato il segretario del Pd. Ma ha aggiunto: «ho mostrato e dimostrato assoluta disponibilità a discutere di temi importanti per noi, facendo funzionare i nostri organismi dirigenti. Quelli sono i posti giusti per un partito che non ha padroni. Non crediamo alla democrazia personale che ha portato un sacco di guai»: dunque dovranno essere gli organismi del partito a discutere la linea, «come fanno i grandi partiti occidentali, e poi bisogna parlare al Paese dei problemi del Paese».

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