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Finiani e barbe finte: fissati con 007 e servizi deviati già sei mesi fa

Italo Bocchino

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Parrucche, occhiali, barbe finte, cimici e - mettiamoceli pure, tanto in questo genere di cose ci stanno sempre bene - agenti della Cia. Il «giallo» della casa di Montecarlo lasciata ad An dalla contessa Colleoni non poteva, alla fine, non aprire quel grande classico di ogni «mistero italiano», quel capitolo dei «servizi segreti deviati» tanto caro ai dietrologi di tutto il mondo e - immancabili - a quelli di casa nostra. Così un documento firmato dal ministro della Giustizia di un piccolo Paese caraibico diventa subito una «patacca», salvo poi essere dichiarato autentico da chi lo ha scritto in persona - sarà «deviato» anche lui? - gli 007 nostrani e il presidente del Consiglio che li dirige vengono subito accusati di «dossieraggio» e saltano fuori addirittura i nomi dei potenziali responsabili. La storia c'è tutta. A raccontarla - puntualissimi quando le cose si mettono male - sono i fedelissimi del presidente della Camera. I «finiani» però hanno una vera e propria passione per le trame alla James Bond. È il 15 aprile - la rottura tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini non si è ancora consumata - quando Italo Bocchino (attuale capogruppo di Fli alla Camera, allora «semplice» deputato del Pdl) riferisce al Copasir (Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica) di essere stato oggetto di attenzione da parte di settori dei servizi segreti e di essere stato «seguito» da agenti dell'Aise (Agenzia informazione e sicurezza esterna). «Esistono elementi - riferisce Bocchino - che possono far pensare che all'interno dei servizi segreti ci sia qualcuno che, anziché lavorare per compiti di istituto, utilizza gli strumenti a sua disposizione sconfinando anche in un'attività di controllo di soggetti istituzionali». In quell'occasione i contenuti dell'audizione sono stati secretati in attesa di «ulteriori e necessari approfondimenti», ma ancora non si sa nulla. Veniamo allora alle vicende più recenti. È il nove agosto scorso, l'affaire monegasco è scoppiato da una decina di giorni e non ha ancora raggiunto il livello esplosivo degli ultimi giorni, e a Carmelo Briguglio - da poco diventato deputato di Fli e membro del Copasir - viene il più classico dei sospetti: non è che dietro i dossier contro Fini sulla casa di boulevard Princesse Charlotte pubblicati dai giornali ci sono pezzi deviati dei servizi segreti? L'esponente finiano sceglie il sito di Generazione Italia per manifestare le sue perplessità. Dopo una serie di ragionamenti sulla libertà di stampa, tutelata in ogni Paese democratico e occidentale, Briguglio scrive «torniamo in Italia» e - a proposito di libertà di stampa - attacca Il Giornale: «Ferma restando la libertà di informazione e il rispetto per la professione, chiunque sia ad esercitarla - scrive - è legittimo avanzare non diciamo dei sospetti ma almeno dei dubbi, se una delle due firme dell'inchiesta del Giornale contiene il cognome di un notissimo direttore dei servizi segreti (Riccardo Malpica, ndr) al tempo coinvolto nell'affaire-Sisde e poi condannato da un tribunale della Repubblica? È una coincidenza? È un'omonimia? O è una parentela? E visto che siamo in tema - aggiunge il membro del Copasir - c'è qualche dossier confezionato, stavolta non da un'ipotetica gendarmeria vaticana (peccato, nella storia ci stava benissimo, ndr), ma da pezzi deviati dei Servizi alla base della vicenda della casa a Montecarlo sulla quale (ed è forse questo il passaggio più incredibile del racconto, ndr) Gianfranco Fini ha fornito risposte dettagliate e fin troppo sincere?». Briguglio, che è uno che conosce il mondo degli 007, pochi giorni dopo definisce meglio i suoi sospetti: «Nei servizi operano oltre cinque mila persone - spiega - molte delle quali assunte negli anni. Fra i cinque mila agenti, ci sono alcuni riuniti in gruppi o fazioni che non lavorano per l'interesse istituzionale, ma fanno attività deviate». Così, dati i precedenti, è più facile comprendere la passione di certi finiani per le barbe finte. Sono proprio Bocchino e Briguglio i primi ad accusare il premier di «dossieraggio» dopo la pubblicazione da parte dei giornali del documento che prova che c'è proprio Giancarlo Tulliani, cognato di Fini, dietro le società off shore. Certo non per i finiani di ferro. «Il dossier è stato prodotto ad arte da una persona molto vicina a Berlusconi che ha girato per il Sudamerica di cui al momento opportuno saprete il nome», spiega Bocchino. Il momento opportuno - ma tu guarda i casi della vita - sarà poi quello che una volta era il palcoscenico del nemico, Annozero, e il nome quello di Valter Lavitola che ha già smentito. Briguglio si rivolge direttamente al Copasir chiedendo «che assuma una decisa iniziativa in relazione alla pubblicazione di atti di dubbia autenticità, se non addirittura falsi, con lo scopo di alimentare la campagna scandalistica contro la terza carica dello Stato». Intanto Enzo Raisi, altro finianio doc, non ha dubbi: «È una mascalzonata manovrata, creata ad arte: una polpetta avvelenata», poi se la prende con Dagospia: «Ha rapporti con i servizi segreti». E certo, con quel nome lì.

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