Casa a Montecarlo, i conti non tornano

La carta canta ma Caruso suona un'altra musica. Nella dichiarazione di successione, ovvero l'atto necessario per entrare in possesso del lascito, acquisita mercoledì in via della Scrofa dalla Guardia di Finanza su disposizione della procura di Roma, la casa di Montecarlo vale un milione 800 mila franchi, corrispondenti a 540 milioni di lire dell'epoca (meno di 270 mila euro). Ma il senatore di An, Antonino Caruso dà altri numeri: «Ho ricevuto la copia dell'originale della successione presentata dall'avvocato monegasco alle autorità del Principato dove si indica in circa 380mila euro al cambio dell'epoca (1999) la denuncia di successione relativa alla casa di Rue Princesse Charlotte. Se negli archivi di An ci sono anche altri documenti con altre valutazioni, questo non lo posso sapere». Nell'attesa che gli inquirenti facciano ordine fra le carte, il prezzo di vendita dell'appartamentino di Montecarlo continua a lasciare perplessi gli esperti di real estate. «Per l'iter successorio il valore "catastale" fa stato, sia per l'Italia che per Montecarlo – ci spiega una fonte che opera da anni sul mercato immobiliare – e a bilancio verrà iscritto il dichiarato anche se il fair value (il prezzo congruo, ndr) non è ancora totalmente affermato. Certo, in sede di liquidazione o fusione dell'associazione va accertato il valore venale del bene in quel momento con tutte le inerenti conseguenze fiscali delle eventuali plusvalenze». Diverso è l'approccio in sede di dismissione del bene: qui entra in campo la perizia e la prudenza richiesta agli amministratori di un entità complessa come un partito. «Intendiamoci - prosegue la fonte - è possibile che gli amministratori possano non vendere al massimo del mercato per svariate ragioni: fretta di concludere, per fare cassa, per l'abilità del compratore o una scarsa conoscenza del mercato. Tuttavia la richiesta prudenza e media diligenza suggeriscono che gli amministratori pongano in essere almeno le più elementari misure idonee alla valutazione della congruità del prezzo. Quindi, quanto meno una perizia redatta da un professionista locale che stabilisca una forchetta entro la quale situarsi.   Se poi la controparte risulta essere "persona vicina", le attenzioni si devono triplicare, anche se sarebbe meglio evitare potenziali conflitti d'interesse, e la trasparenza "dovrebbe" essere totale», conclude l'esperto. Sul tavolo dei pm sono finite, intanto, anche le carte sui conti esteri di An di cui gli stessi amministratori di via della Scrofa hanno avuta notizia solo di recente. La contessa Colleoni aveva anche fondi in Svizzera presso la banca Ubs. In parte si trattava di soldi liquidi, in parte di titoli di Stato. I secondi sono rimasti in Svizzera. Si tratterebbe di titoli che hanno scadenze molto lunghe e tassi molto elevati rispetto a quelli attuali, e quindi non era conveniente disinvestirli. I conti con i contanti sono stati invece chiusi, l'ammontare era di 773.727 euro e stranamente iscritti nel bilancio di An soltanto nel 2009 (ovvero un decennio dopo l'arrivo dell'eredità) alla voce «plusvalenze da alienazioni».   È opportuno sapere che un'associazione, quando riceve un'eredità, dovrebbe accettare con beneficio di inventario. E l'inventario deve essere redatto per i beni relitti (cioè i beni del defunto al momento della morte) ovunque essi siano situati, quindi anche all'estero. Gli inquirenti dovrebbero dunque porsi alcune domande: chi possiede e dove è la copia della scheda testamentaria della contessa? Era eredità o legato? Come avvenne la devoluzione? Nominava un esecutore testamentario? I fondi in Svizzera erano noti o sono stati scoperti solo di recente? Chi ha redatto la dichiarazione di successione? La Colleoni era residente in Italia al momento del decesso? È stata presentata una dichiarazione integrativa al momento della scoperta di questi fondi? Che le carte cantino.