Notte di scontro poi Profumo lascia
Dopo un lungo braccio di ferro il cda di Unicredit ha sfiduciato l’ad Alessandro Profumo. Vince l’asse del Brennero. Passa cioè la linea sostenuta dai tedeschi, capitanati dal presidente Dieter Rampl, e che ha visto alleati anche i leghisti. Un asse che si è saldato sulla presunta arroganza di Profumo reo di aver gestito la banca come una sua proprietà e il fatto che la forte internazionalizzazione dell'istituto lo ha di fatto allontanato dai territori, e in particolare da quelli veneti. Dopo aver disertato il cda e aver inviato la lettera di dimissioni Profumo si è presentato dopo le 23 a piazza Cordusio per ratificare il proprio addio. La buonuscita per l'ormai ex amministratore delegato è di 40 milioni di euro. Profumo si è fatto da parte prima di cadere sotto il fuoco dei consiglieri: ha chiuso la porta e se n'è andato. Non si è nemmeno presentato al consiglio di amministrazione che avrebbe dovuto ratificare le sue dimissioni. Alla riunione straordinaria dei soci, convocata per esaminare la posizione del manager accusato di aver fatto salire i libici nel capitale del gruppo di Piazza Cordusio senza adeguate informative al presidente e ai soci di maggioranza, ha inviato solo un lettera. Precisa e chiara. «Me ne vado ma i consiglieri si esprimano». In altre parole ha chiesto la conta. Ma non così rapida è stata invece la decisione del cda. Per accettare le dimissioni, come in tutti gli organi collegiali, serve la maggioranza dei voti. E su questo si sarebbe aperto un autentico braccio di ferro tra i consiglieri divisi tra il sì e il no all'amministratore delegato. Molti dei banchieri e dei manager presenti avrebbero anche perso l'abituale aplomb per scendere a un livello di scontro molto acceso. Da segnalare che all'appuntamento si è presentato anche il Governatore della Banca centrale libica, e vicepresidente di Unicredit, Farhrat Omar Bengdara. È stata la sua prima volta nel consiglio e deve essere stata per lui un'esperienza molto forte visto che è stato il primo a uscire dalla sede di Piazza Cordusio. A giochi ancora non conclusi. A difenderlo sembra siano rimasti solo lui e il patron della FonSai, Salvatore Ligresti. Poi hanno ceduto. Entrambi sono usciti e hanno lasciato i consiglieri a decidere il modo con il quale passare le deleghe dell'ormai ex amministratore a Rampl. Tra i difensori anche anche il consigliere indipendente Lucrezia Reichlin. L'uscita di Profumo, data per sicura per tutta la giormata di ieri, è rimasta in stallo soprattutto per i dubbi di un salto nel buio in grado di destabilizzare l'istituto soprattutto in mancanza di un nome condiviso come successore. A dare voce a queste perplessità era stata in giornata anche Ligresti: «Sono favorevole alla stabilità», aveva detto il numero uno di Fondiaria Sai, azionista di peso e consigliere di Unicredit. Tra le ipotesi per il dopo il percorso prevederebbe il conferimento di un interim al presidente Dieter Rampl, nell'attesa di individuare il successore di Profumo, per cui naturalmente sono già usciti i primi i nomi di banchieri ed ex banchieri, come Alberto Nagel, Fabio Gallia, Matteo Arpe, Giampiero Auletta; possibile anche un ritorno dell'ex «numero due» di Piazza Cordusio, Pietro Modiano. Il «pomo della discordia» è stato l'ascesa nel capitale di Unicredit dei soci libici, che a più riprese durante l'estate hanno comprato azioni sia con Central Bank of Libya che Libyan Investment Authority, detenendo fino al 7,58% complessivo. In questa vicenda in realtà non è chiaro il ruolo di Profumo, che non ha comunicato nulla ai soci, ma secondo le accuse potrebbe aver invogliato lui stesso gli investitori libici; circostanza negata dallo stesso manager. Gli scontri in Unicredit erano cominciati da tempo, ad esempio sul tema della «banca unica», e dei rapporti con il territorio, in particolare con il mondo veronese, azionista attraverso la Fondazione Cariverona; ad acuirli anche il sindaco leghista, Flavio Tosi. Proprio Tosi ieri ha sparato nuove pesanti bordate contro Profumo, definito in un'intervista «un custode infedele», che avrebbe fatto entrare i libici nella banca «senza avvisare». Voci critiche per l'uscita di Profumo invece da parte del Pd, con Matteo Colaninno che mette in guardia dalle intromissioni della politica nelle banche. «C'è una pesante regressione del mercato finanziario italiano a una decina danni fa, è in gioco l'indipendenza del sistema bancario dalla politica. Le fondazioni facciano i loro interessi e quelli del territorio, ma la governance di una banca deve presidiare l'indipendenza di una banca».