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Le Lega canta vittoria: adesso fermiamo i libici

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Eora, con l'addio di Alessandro Profumo, il partito di Bossi può cantare vittoria; perché nella partita che ha portato all'allontanamento dell'amministratore delegato, anche il Carroccio ha avuto il suo ruolo. Nella fondazione Cariverona, che controlla il 4.63% della banca, la presenza degli uomini del Senatùr si è fatta di recente più marcata: il rinnovo del consiglio generale della fondazione, la scorsa settimana, ha visto l'arrivo di una pattuglia di sei leghisti decisi a battersi contro l'arrivo dello straniero dentro Unicredit. Non a caso è il sindaco leghista di Verona Flavio Tosi a farsi sentire subito dopo l'ufficializzazione delle dimissioni di Profumo. Abbottonato sulla successione («è una questione che spetta al cda e ai soci») il primo cittadino veronese chiede a Bankitalia e Consob di «fermare la scalata libica» che inquieta il Carroccio. Tosi dà anche un giudizio severo sull'ad, considerato l'artefice dell'"invasione": «È stato un custode infedele, uno che fa entrare qualcuno in casa tua senza avvertirti». In molti, nell'opposizione, ritengono che la sensibilità della Lega verso il destino dell'istituto nasconda precisi interessi. Secondo il Pd Matteo Colaninno, nella vicenda delle dimissioni di Profumo, «ci sono state pesanti interferenze della politica, a partire dalla Lega». In molti ricordano la frase di Bossi che, pochi mesi fa, preannunciava che il Carroccio avrebbe «occupato le banche». Nel mirino dell'opposizione finisce anche il presidente della regione Veneto Luca Zaia. Francesco Boccia, coordinatore delle commissioni economiche del Pd, lo accusa dicendo che «forse ha scambiato Unicredit per CrediEuroNord», la banca leghista voluta da Bossi e chiusa dopo appena quattro anni. Insomma, nel centrosinistra c'e la preoccupazione che dentro l'istituto di credito la situazione possa degenerare: e per questo viene chiesto con forza al governo la nomina immediata del presidente della Consob «ora più che mai di fondamentale importanza per la tutela dei risparmiatori dell'istituto» (Boccia). Ma Profumo, oltre ad aver guidato il secondo gruppo bancario italiano, è anche l'uomo che votò alle primarie del Pd e di cui da qualche tempo si sussurra che voglia scendere nell'agone politico. Qualcuno si è posto l'interrogativo: può essere lui il «Papa straniero» evocato da Walter Veltroni? A giudicare dalle risposte alla domanda, non sembra. Si va dal drastico Beppe Fioroni (Prendere uno che è stato appena cacciato...») al dubbioso Ermete Realacci («È una persona che fa onore all'Italia ma non ha le physique du role del leader politico»). «Va bene che il centrosinistra ama perdere, ma affidarsi a un banchiere è troppo: c'è un limite all'autolesionismo» taglia corto il senatore Paolo Giaretta. Porta chiusa a Profumo «Papa straniero» anche da Antonio Di Pietro: «Ognuno faccia il suo mestiere. Di ragionieri che hanno gestito potenti lobby il Paese ne può fare a meno».

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