Ha vinto l'asse del Brennero

È chiaro, almeno a prima vista, chi ha perso il duello in Unicredit. Più difficile capire chi sia il vincitore. Ma la partita è così rilevante che un giudizio a caldo s’impone, anche a costo di sbagliare. 1) Di sicuro esce promosso l’asse del Brennero, quello che collega Monaco di Baviera, domicilio del presidente Dieter Rampl, tra l’altro membro di sorveglianza del Bayern, e il Veneto. Soprattutto la Fondazione di Verona, rimpolpata giusto pochi giorni fa dall’innesto di sette consiglieri di area leghista. Sono loro ad aver imposto il "disco rosso" all’operazione Libia, spingendo i torinesi di Crt, che volentieri avrebbero atteso l’assemblea di primavera per regolare, forse, i conti con Profumo, ad accorciare i tempi.   2) Ancora una volta, in un certo senso, ha avuto ragione la regola di Cuccia: «Le azioni si pesano, non si contano». La partecipazione dei soci tedeschi in Unicredit, infatti, è poca cosa: solo Allianz conta più del 2 per cento (un terzo scarso della quota libica). Ma Unicredit lavora e fa utili in aree strategiche per l'economia di Berlino: dalla Polonia all'Ucraina, fino al Kazakistan, probabilmente una delle cause della caduta di Alessandro ex il Grande. Ai consiglieri della grande UniCredit, tra cui l'ex ministro delle Finanze Teo Waigel, non è andato giù il pessimo affare combinato da Unicredit nel cuore dell'Asia: le Fondazioni italiane possono perdonare un flop. I tedeschi no.   3) L'impressione, a questo punto, è che la componente tedesca sia destinata a pesare di più, almeno sul piano culturale. Difficile che l'asse operativo di Unicredit si sposti verso la Germania, come (pare) volesse lo stesso Profumo. Di sicuro l'intransigenza di Dieter Rampl in materia di governance avrà i suoi effetti nella City milanese: il presidente, del resto, ha già un forte peso in Mediobanca e, di riflesso in Generali.   4) Può essere questa una delle chiavi di lettura delle preoccupazioni di Giulio Tremonti. Il ministro ha speso più di una parola a favore di Profumo che pure non era tra i suoi amici. Ma la prospettiva che uno dei due grandi polmoni finanziari italiani, vitali per il collocamento del debito pubblico, finisca sotto l'area di influenza tedesca non gli può far grande piacere.   5) Anche Cesare Geronzi, lungi dal gioire per il declino momentaneo del giovane rivale che pure ha cercato di sfidarlo in più di un'occasione, si mostra preoccupato. Il presidente delle Generali sa bene che la stabilità del sistema bancario italiano, che poggia su basi fragili, in assenza di investitori istituzionali in grado di supportare le fondazioni o di un mercato azionario adeguato, è ad alto rischio: Intesa o Mps possono contrarre pure loro una malattia "libica". Probabilmente con soci ben più invasivi di quanto non si siano dimostrati nel tempo i finanzieri di Gheddafi.   6) Unicredit ha pagato le conseguenze della crisi finanziaria. Ma tutti i gruppo bancari di casa nostra, prima o poi, dovranno fare i conti con le maggiori esigenze patrimoniali imposte dalle regole di Basilea 3. Delle due l'una: o i nostri banchieri dovranno limitare investimenti e sviluppi, per salvaguardare il patrimonio. O dovranno bussare a mercati per chiedere quattrini, come stanno già facendo i tedeschi di Deutsche Bank (9 miliardi) o il Banco de Santander di Emilio Botìn, il più dinamico banchiere del Vecchio Continente. Ma, se il mercato italiano non sarà in grado di soddisfare le richieste degli istituti, sarà inevitabile la crescita dei soci stranieri. Poco male, se il nostro Paese saprà imporre regole adeguate in materia di governance, trasparenza e valutazione dei risultati. 7) Con le dimissioni di Profumo finisce un'anomalia italiana: solo da noi, dallo scoppio della crisi nel 2007 in poi, non era saltata alcuna testa ai vertici. È toccato al banchiere più internazionale, l'unico che ha rischiato per davvero cercando di approfittare della debolezza di Hvb, l'istituto tedesco in gravi difficoltà che ha pesato non poco sulle sorti della banca, dopo lo scoppio della crisi immobiliare. Ma non è facile includere Profumo nella categoria dei perdenti. Domenica sera, narrano le cronache, il banchiere ha respinto con sdegno una liquidazione di 35 milioni. Pare che alla fine l'accordo sia stato trovato attorno ai 50 milioni di euro. Mica male per il banchiere che da oggi, giurano i collaboratori, pedalerà sulle colline del piacentino, in attesa di tornare in pista.