Pontone vuole lasciare I finiani rischiano
Se ne vuole andare. Non sa ancora da cosa precisamente. Ma ha tanta voglia di sbattere la porta. Franco Pontone si è chiuso nel suo ufficio, non ama parlare più con nessuno in particolare. Detesta il fatto di essere finito in mezzo a questa storia di Montecarlo che è lontana anni luce dal suo vivere. Il senatore finiano vive ancora in una piccola casa in affitto a Napoli, il suo studio è a Porta Nolana, nel capoluogo partenopeo, vicino al mercato del pesce, e per molti anni si è dedicato a difendere gli inquilini più poveri della Risanamento spa, l'ente nato per dare una casa ai napoletani in indigenza sul finire dell'Ottocento. Figurasi ritrovarsi in mezzo a società off shore, paradisi fiscali, Montecarlo e casinò. Ricevette un ordine: Franco, vai e firma. E così fece, vendette perché l'ordine veniva da Fini e tutto farebbe tranne che disobbedire a Gianfranco. Di lui, dentro An, hanno spesso detto che è troppo tirchio, ma nessuno potrebbe immaginare che s'è arricchito sebbene abbia maneggiato per tre lustri soldi e beni del partito. Si sarebbe aspettato una difesa a spada tratta dal presidente della Camera. L'ha attesa per tutto agosto ma non è arrivata. Così, un po' per protesta un po' perché s'è rotto un braccio in questa torrida estate, Pontone non è andato a Mirabello. Qualche giorno prima l'aveva chiamato Giuseppe Consolo e gli aveva passato al telefono il presidente della Camera, si erano lasciati gelidamente. Due giorni dopo Fini, intervistato da Mentana, a mezza bocca ha detto: «Pontone è un galatuomo». Una piccola frase che ha finito per accrescere la sua delusione. S'aspettava qualcosa di più. Poi l'interrogatorio davanti ai pm, la settimana scorsa. E un'ulteriore mazzata. Nel successivo incontro con i magistrati che indagano sulla casa dove vive il cognato di Fini, Antonio Caruso - che curò con lui l'affaire Montecarlo - ha detto che vi fu un'offerta superiore e fu scartata. Anche quella volta Pontone s'aspettava che qualcuno prendesse la parola e lo difendesse. Niente. Silenzio. «E allora basta. Me ne vado», s'è sfogato il senatore ex testoriere di An ma amministratore dell'associazione sorta dalle ceneri del partito e che ne ha ereditato il patrimonio. Così, quando la settimana scorsa Mario Baldassarri l'ha chiamato per informarlo che oggi si terrà riunione di gruppo, Pontone ha risposto secco: «Se sarò ancora senatore, vengo». Pensavano che scherzasse. Non era così. Anche perché oggi si svolgerà la riunione del comitato dei garanti di An e colui che è oggi presidente del comitato di gestione potrebbe dimettersi, lo seguirebbe il larussiano Giuseppe Cantanzaro. Oppure potrebbe decidere di chiudere con la politica e lasciare per sempre Palazzo Madama. Oppure, ipotesi più probabile, potrebbe dimettersi dal gruppo di Futuro e Libertà che proprio oggi dovrebbe riunirsi ed eleggere come capogruppo Pasquale Viespoli che subito dopo dovrebbe poi rassegnare le dimissioni da sottosegretario al Welfare. Dovrebbe, perché se Pontone dovesse andare via (difficile torni al Pdl, più probabile traslochi al misto dove c'è Giulio Andreotti) l'effetto immediato sarebbe devastante: il gruppo non avrebbe più il numero minimo di componenti e quindi andrebbe sciolto (a meno che non arrivi qualche senatore in soccorso). Pontone, a sera, non esclude nulla: «Tutto è possibile, non lo so nemmeno io che succede domani (oggi, ndr). Quel che è certo è che Caruso parla con La Russa, quello con quell'altro e io con nessuno. Sono isolato. Fini? Non lo sento da tempo. Adesso vado a riposare e riflettere, anche oggi ho lavorato molto. Domani vedremo che cosa ci riserva la giornata. Sono sereno».