La sinistra ha bandito i simboli della nazione
Nel bel mezzo di una delle solite tempeste che l'attraversano e lo sconquassano il Pd di Pier Luigi Bersani, Walter Veltroni, Massimo D'Alema e via sfarinando ha trovato nella «guerra» al sindaco di Adro e alle 700 stelle celtiche che saranno probabilmente rimosse da zerbini, pareti, soffitti, porte, mobili e pietre della scuola elementare del posto un'occasione di compattezza e persino di vittoria. Ma di questo successo, con tanto di rimprovero mosso al sindaco leghista Oscar Lancini anche da Umberto Bossi in persona, che cosa potranno mai farsene i dirigenti del maggiore partito d'opposizione? Niente, perché anche questa volta essi hanno mostrato la loro inconsistenza come classe di governo. Si sono mossi ed hanno gridato come tromboni, portandosi peraltro al seguito davanti alla scuola per le proteste i soliti attivisti dei centri sociali: quelli che si affacciano anche alle loro feste di partito per mettere a tacere l'ospite sgradito di turno. Le 700 stelle celtiche di Adro, delle quali naturalmente non intendiamo fare qui alcuna difesa, sono state e sono la risposta sbagliata ad una crisi d'identità creata anche nella scuola italiana proprio dalla sinistra, purtroppo con la complicità di chi è stato al governo in anni più o meno lontani. La cultura di sinistra, egemone da noi per troppo tempo, ha a lungo bandito come feticci nazionalistici tutti i simboli che potevano, e possono ancora, segnare un'identità agli occhi e alla coscienza degli alunni. Nelle nostre scuole è stato troppo a lungo liquidato o deriso ciò che altrove, per esempio negli Stati Uniti d'America, è normalmente praticato per la formazione dell'identità nazionale e culturale. Solo il crocefisso è stato per un po' accettato, o tollerato, sulle pareti delle aule scolastiche italiane come simbolo d'identità dalla sinistra, sino a quando anch'esso non è diventato un fastidio, o qualcosa che gli assomiglia, per correre dietro al fondamentalista di turno di altre religioni o provenienze ideologiche che se ne sentiva offeso, e ne reclamava la rimozione con iniziative persino giudiziarie. Il simbolo più evidente di un'identità nazionale è sicuramente la bandiera. Ne avete mai vista esporre una in un'aula scolastica? E se mai vi fosse stato un preside o un insegnante tentato dall'idea di proporla, pensate che l'avrebbe passata liscia sull'Unità e sugli altri giornali che hanno in questi giorni mobilitato le loro firme contro la pagliacciata delle stelle celtiche, scolpite con sequenza ossessiva in una scuola alla quale avrebbe dovuto e dovrebbe bastare, come segno d'identità o riferimento culturale, l'intestazione al professore Gianfranco Miglio? Che -non dimentichiamolo- approdò alla Lega, insegnandole i fondamentali della scienza politica, dall'esperienza democristiana e da una tentazione socialista. Nella Dc egli era stato, fra l'altro, un consigliere apprezzato dell'allora segretario Amintore Fanfani. E vi sarebbe rimasto anche con Aldo Moro se non lo avesse letteralmente sconvolto, nei primi anni Sessanta, sostenendo la necessità di una radicale riforma della Costituzione in vigore solo dal 1948. Provate ad immaginare, con questi tromboni della sinistra italiana, la sorte che sarebbe riservata ad un preside o ad un insegnante che volesse proporre nella sua scuola la cerimonia dell'alzabandiera. O volesse insegnare ai ragazzi come avvolgere il vessillo nazionale e conservarlo, o intonare l'inno nazionale all'inizio delle lezioni, e farne imparare bene le parole ai ragazzi, magari portandosi all'occorrenza una mano sul cuore. Gente così sarebbe lapidata, nel migliore dei casi, con i candelotti fumogeni che nei centri sociali si accampa il diritto di lanciare come arance perché «non c'è mai morto nessuno». Così si è giustificata con un commissario di polizia la ragazza che aveva appena centrato e bruciacchiato alla festa nazionale del Partito Democratico, a Torino, il giubbotto sintetico di quell'antipatico del segretario generale della Cisl Raffaele Bonanni.