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La «maestra nera» divide Sonnino

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Sonnino,paesino di circa 7000 anime in provincia di Latina, dopo il clamore della protesta anti-burqa di un manipolo di mamme agguerrite, si è risvegliato al centro di un dibattito sui rapporti tra Occidente e Islam. Un «caso» che ha toccato da vicino la gente comune, in un paese italiano come tanti. Dunque non solo un esercizio di dialettica sociale e religiosa che propone ad altissimi livelli ragionamenti sui massimi sistemi ma, per la gente del posto, un fatto di vita quotidiana. E i discorsi che ieri mattina riempivano i bar del paese riguardavano la civile convivenza in una nazione: si parlava di rispetto delle regole generali del Paese prima ancora del rispetto delle singole esigenze. E questo anche non volendo approfondire il concetto di reciprocità che spesso vede l'Occidente fare i conti con le intransigenze isalmiche. Sonnino dunque, nel day-after della «maestra nera» (cioè la mamma col burqa che - pur non volendo - ha spaventato alcuni bambini e bambine della scuola dell'infanzia) è diventato suo malgrado il centro di un dibattito più ampio, sceso però anche nelle viscere del territorio: c'è l'autista dello scuolabus che racconta turbato di aver visto una bambina piangere di paura, il vecchio maestro in pensione che si stupisce di tanto clamore in un paese abituato a veder passare incappucciati (ma di bianco, nel Venerdì Santo e molto spesso a volto scoperto) gli aderenti alla secolare Confraternita dei sacconi; c'è la vicina di casa che racconta dei burqa di colore diverso, marrone uno e nero l'altro, ammettendo che «quando scende la sera fa un po' impressione... soprattutto quello nero»). Nessuno si sente razzista, e d'altronde la piccola comunità pontina ha dato ampia dimostrazione di apertura culturale; basti pensare che proprio nella scuola oggi sotto l'occhio dei riflettori esistono menù rispettosi delle tradizioni islamiche e che il Comune ha in bilancio «aiuti economici per genitori immigrati». Ma c'è una questione di fondo: «I nostri bambini vanno protetti - dicono le mamme che hanno sollevato il caso - e non ci si può dire di spiegare a bimbi così piccoli le diversità culturali mettendoli però prima a contatto con la paura». Questioni di convivenza che vanno affrontate con decisione e non liquidate come spesso viene fatto da certa sinistra - in nome di un'accoglienza che si vorrebbe spingere oltre le tradizioni che hanno costruito la nostra civiltà (che pure è «aperta») - come fatti marginali. I problemi dei cittadini non sono mai «secondari», e i segnali che i territori mandano non vanno sottovalutati in nome di «temi più rilevanti». Per chi vive in un qualsiasi posto non c'è nulla di più importante di ciò che costituisce la propria vita quotidiana. Si è fatta sentire in maniera netta la Regione Lazio; Aldo Forte, assessore alle Politiche sociali e Famiglia, è andato dritto al cuore del problema: «In Italia esiste già una legge che vieta a chiunque di andare in giro nei luoghi pubblici con il volto coperto. Non si tratta di discriminazione, ma semplicemente della tutela dell'ordine pubblico. Non dimentichiamo che il vero problema è che stiamo parlando di una materna». Ordine, dunque, nel rispetto prima di tutto delle regole italiane. Domattina la direttrice scolastica incontrerà la donna 25enne e il marito (imam della moschea di Priverno) insieme al sindaco, per giungere a una soluzione che tuteli la serenità dei piccoli. «Fuori dalla scuola - dicono ancora le mamme - è liberissima di indossare ciò che vuole. L'unica cosa che le chiediamo è di farsi riconoscere». La dirigente scolastica ha cercato di smorzare i toni: «Il caso non esiste». Sarà, ma certamente esiste un problema culturale: evitare il «razzismo al contrario», e cioè la tutela oltre ogni limite delle minoranze a scapito della tutela della maggioranza. E va affrontato.

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