Veltroni fa il Fini del Pd
Gianfranco Fini fa proseliti. Ormai non ci sono più dubbi, anche il Pd ha la sua serpe in seno: Walter Veltroni. L'ex sindaco di Roma, come il presidente della Camera con Silvio Berlusconi, ha cominciato la sua opera di logoramento nei confronti di Pier Luigi Bersani. Certo, ci sono alcune significative differenze. I Democratici non sono al governo e quindi la minaccia di formare gruppi autonomi o un altro partito, in questo frangente, non avrebbe alcun effetto. Veltroni lo sa, per questo continua a ribadire che non è sua intenzione uscire dal perimetro del Pd. Né tantomento candidarsi. Meglio mandare avanti qualcun'altro, magari Sergio Chiamparino, e aspettare poi di essere invocato come «salvatore della Patria». Nel frattempo, però, Walter spara bordate ad alzo zero. A far discutere è soprattutto il documento che l'ex segretario ha messo a punto per chiedere un rilancio del partito. Documento scritto assieme a Giuseppe Fioroni e Paolo Gentiloni su cui è partita una raccolta di firme tra i parlamentari. Soprattutto quelli appartenenti ad Area democratica la componente che, fino ad oggi, raccoglieva la minoranza interna che fa riferimento a Dario Franceschini. Fino ad oggi perché, con la sua iniziativa, Veltroni «cancella» Area Dem e pone le basi per costruire, lui ovviamente lo nega, una corrente all'interno del partito. Difficile fare previsioni sulla solidità del nuovo «movimento». Fioroni e gli ex Ppi sembrano aver sposato l'iniziativa più per cercare di sopravvivere che per altro. Anche se è indubbio che sia lui che Veltroni non si trovino a proprio agio in un partito che si sta progressivamente spostando verso sinistra. «Altro che Unione - spiegano gli uomini vicini all'ex sindaco di Roma - di questo passo, alle prossime elezioni, ci presenteremo con l'Alleanza dei progressisti di Achille Occhetto del 1994». Di qui l'analisi impietosa contenuta nel documento di sei pagine che verrà ulteriormente limato nelle prossime ore e che dovrebbe divenire pubblico entro domenica: al Pd manca una bussola politica e dunque ha bisogno di proposte coraggiose per rilanciare la sua vocazione maggioritaria. Il punto di partenza è una semplice constatazione dello stato dell'arte. Veltroni lo spiega così ai microfoni di Repubblica tv: «I sondaggi danno il Pd al 24.6 e io sono preoccupato ed è proprio per combattere Berlusconi che dico la mia nel Pd e per il Pd. Se stiamo uniti intorno al 24.6%, in un momento di massima difficoltà di Berlusconi, non si va da nessuna parte. Non c'è nessuna spaccatura, io non bombardo di dichiarazioni ma dico la verità perché discutere fa bene e non mettere la testa sotto la sabbia». Insomma per l'ex segretario l'obiettivo non può essere l'unità «intorno ad una barca che fa acqua da tutte le parti». Quindi, per sgombrare il campo da qualsiasi equivoco, assicura: «Io non sego l'albero ma lo puntello. Per me il leader è Bersani». Anche se subito dopo invita «a non escludere di cercare il candidato fuori da sé, un leader che possa federare, qualcuno che venga dalla società». Sul modello di Romano Prodi. E se Franco Marini e Pierluigi Castagnetti hanno convocato per martedì prossimo una riunione di ex Ppi per verificare chi sta con Fioroni, Bersani respinge le accuse: «Siamo un partito di tipo europeo con una maggioranza e una minoranza. Si può non essere d'accordo senza per questo essere buttati fuori. Ma non è questo il modo e il tono per fare una discussione. La minoranza nel Pd è in ristrutturazione. Ma credo che dobbiamo occuparci del Paese e non guardarci proprio in questo momento la punta delle scarpe. Non possiamo fare un pacco dono a Berlusconi». Immediata la controreplica di Veltroni: «Un regalo a Berlusocni? È esattamente il contrario e Bersani lo sa benissimo. Mi preoccupa che un momento di crisi del governo non corrisponda a una alternativa».