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La Francia ha gettato il sasso E Silvio ha colto l'occasione

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Rom in piazza a Parigi

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Lo ammettiamo: il Cavaliere che apprezziamo di più è quello che quando serve va controcorrente e magari fa tintinnare i soprammobili in cristalleria. A maggior ragione se la cristalleria è gestita dagli alti papaveri dell'Unione europea ed è spesso piena di orpelli inutili e polverosi. Silvio Berlusconi ha evitato di unirsi al consueto coro politicamente corretto che sulla questione dei rom ha accompagnato le censure al governo francese (oltretutto sproporzionate e di pessimo gusto) della commissaria alla Giustizia Viviane Reding, e si è apertamente schierato con Nicolas Sarkozy. I fatti sono noti: Sarkò ha deciso un giro di vite contro gli insediamenti abusivi dei rom, e ne ha fatti rimpatriare circa 700, su base volontaria, offrendo loro soldi e viaggio. La Reding ha annunciato sanzioni contro la Francia e ha evocato le deportazioni verso i campi di sterminio nazisti del governo collaborazionista di Vichy. Il presidente francese ha risposto a muso duro chiedendo alla commissaria di accogliere i rom in Lussemburgo. Molti governi, tra cui la Germania, si sono appiattiti sulla linea di Bruxelles. Berlusconi no. Cogliendo secondo noi tre obiettivi in uno: ha detto quello che tutti pensano, e spesso fanno (tedeschi in testa: ci siamo dimenticati dei roghi nei quartieri turchi, che pure sono immigrati regolari?), ma non dicono; ha sollevato un problema, le gestione degli immigrati, che le istituzioni europee si ostinano a sottovalutare e addirittura censurare; infine ha tutelato i buoni rapporti con la Francia, che per l'Italia sono strategici e non ce ne dobbiamo affatto vergognare. Cominciamo proprio da questi ultimi, tanto per evitare anche noi qualsiasi sospetto d'ipocrisia. Dopo anni di concorrenza e ripicche abbiamo stabilito con Parigi un asse che spazia dall'energia – accordi sul nucleare e nei gasdotti con la Russia – alla finanza. E che si è spesso concretizzato anche a livello comunitario: quando si è trattato di convincere Angela Merkel a sbloccare il piano contro la speculazione sull'euro, e di recente quando si sono ridefiniti i criteri per valutare i debiti pubblici, includendovi la sostenibilità sul piano interno. Naturalmente questo non significa che si debba andare d'accordo su tutto: per esempio siamo e restiamo concorrenti dei francesi nei rapporti commerciali con la Libia ed altre economie emergenti. Ma certo all'Italia fa comodo avere una sponda come la Francia per tenere a bada gli interessi economici della Germania, e viceversa. Siamo però convinti che Parigi e Roma abbiano interessi altrettanto convergenti ed importanti proprio sull'immigrazione, che se non viene affrontata in maniera adeguata rischia di deflagrare. Si stima che i rom sparsi in tutti i 27 paesi dell'Unione europea siano almeno 12 milioni, in gran parte clandestini a causa della natura nomade di questo popolo; ma non solo. Il nomadismo è infatti diventato un alibi, ancora di più da quando Romania e Bulgaria, i due principali paesi di provenienza, sono entrati nella Ue ed i loro cittadini sono a tutti gli effetti divenuti cittadini europei. Ma proprio qui sta il punto: la libera circolazione non significa impunità, e se un rom delinque o vive in abitazioni abusive e senza servizi igienici, se non è in grado di assicurare ai figli istruzione e crescita dignitosa, non si capisce perché debba essere trattato dallo Stato con più benevolenza di un italiano, un francese, un tedesco. Ma il solo modo per qualsiasi cittadino di garantirsi dei diritti è di sottostare ai doveri, a cominciare da quello di lavorare o dimostrare di disporre di mezzi di sostentamento legali. Insomma, non esiste integrazione fatta solo di accoglienza: l'integrazione deve essere sociale ed economica. L'Europa finora su tutto ciò ha dormito. Magari preferendo un'accoglienza un po' pelosa, come quella riservata dalla Germania alla manodopera turca o balcanica (salvo sbarrare alla Turchia l'ingresso nella Ue). Ma soprattutto mostrando di non comprendere il ruolo particolare di Paesi come Italia, Spagna e appunto Francia, che costituiscono con le loro coste la frontiera verso l'Africa ed il Medio Oriente. Si fa presto a criticare i respingimenti in mare, o il giro di vite verso i rom: chi dovrebbe però prendersi cura di questi confini, sui quali noi vigiliamo anche per conto di tedeschi, olandesi e lussemburghesi? Paradossali sono poi le critiche giunte dalla Casa Bianca: Barack Obama non conosce la storia di Ellis Island, non sa che gli Usa hanno eretto alla frontiera del Messico un muro elettrificato, e che per ottenere nel suo Paese la green card, cioè il permesso di risiedere e lavorare stabilmente (ma non ancora la cittadinanza ed il diritto di voto), occorrono cinque anni ed una condotta irreprensibile? Ultimo punto: la linea Sarkozy – che peraltro ha finora coinvolto appunto 700 rom rispetto ai 10 mila rimpatrii decisi nel 2009 dagli altri governi europei – sarebbe stata dettata dalla ricerca di consenso. E allora? In Francia, come in tutto il mondo, si chiede più sicurezza, mica champagne gratis e niente tasse. La realtà è che il governo di Parigi ha gettato un grosso sasso nello stagno. E che il Cavaliere, anziché riparare all'asciutto, ha deciso di prendersi anche lui qualche schizzo.

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