Il sindaco apripista
È stato il primo sindaco ad entrare al Casilino 900, il più "antico" e grande campo rom d'Europa. Quello stesso che nel febbraio di quest'anno è stato smantellato senza traumi. E proprio sulla sicurezza come traguardo da raggiungere attraverso un nuovo modello di integrazione fondato sul rispetto delle regole, ha vinto la campagna elettorale che, per la prima volta nella storia, ha portato a Roma un sindaco di centrodestra. E sì, il «risveglio» sull'emergenza nomadi che sta scuotendo i cugini d'Oltralpe, Roma l'ha avuto con gli occhi di Gianni Alemanno. Di destra, come il presidente Sarkozy (che è salito all'Eliseo dopo essere stato primo cittadino di un comune vicino Parigi), Alemanno ha incominciato a sollevare quello che non era più un problema, come il traffico che attanaglia le metropoli, ma una vera emergenza sociale. La determinazione poi ad andare comunque avanti è arrivata da alcuni drammatici fatti di cronaca che rischiavano di esasperare un clima avvelenato in oltre 15 anni da un modello di integrazione di sinistra che si fondava sull'anarchia delle cooperative. Il punto e a capo è arrivato. Con una prima allarmante incognita. I numeri. Tra campi nomadi regolari, irregolari, baraccopoli e alloggi di fortuna allestiti dagli argini del Tevere alle antiche Mura Aureliane, Alemanno si è ritrovato davanti un avversario «invisibile». Le stime approssimative degli uffici tecnici parlavano di 10-15 mila persone. Il primo passaggio obbligato è stato dunque quello del censimento. Poi il confronto, il dialogo, la decisione: un nuovo piano nomadi che riduca a massimo seimila il numero delle persone che vivono nei campi. E soprattutto spetterà ai rom stessi costruire le loro case. Un modo per responsabilizzare chi, per troppo tempo, è stato lasciato a se stesso. Senza diritti né doveri. Le polemiche non sono mancate. A scagliarsi contro il sindaco di Roma persino Amnesty International che denunciava la violazione dei diritti umani e lanciava una raccolta firme da portare in Europa. Sì, l'Europa. Quell'organo sovrano lontano miliardi di chilometri virtuali da quelle piccole, "invisibili" baracche dove non c'è acqua, non c'è luce, non ci sono bagni e che, troppo spesso, escono dall'anonimato solo per le fiamme di una stufa difettosa. Un'emergenza tale da dover coinvolgere non solo il governo ma l'Europa stessa e più volte, a gran voce, proprio Alemanno ha chiesto una strategia europea volta ad ottenere più risorse e più controlli. «Serve una modifica della direttiva 38 dell'Unione Europea - ha ripetuto fino alla settimana scorsa il sindaco - in modo da rendere i flussi più regolamentati. Dalle difficoltà dei diversi Paesi deve nascere una grande sollecitazione all'Europa per risolvere seriamente questo problema che riguarda tutte le città europee e italiane e dunque non può non essere non risolta in sede comunitaria anche perché i nomadi sono la più grande minoranza etnica dell'Unione. Solo una strategia comune - ricordava il sindaco la settimana scorsa in visita proprio a Parigi - può regolare i flussi ed evitare anche il rischio di un continuo conflitto tra gli Stati membri dell'Unione o con il diritto di circolazione di tutti i cittadini comunitari». Determinato, Alemanno ha affrontato le polemiche e le proteste (anche "interne") sull'accordo siglato a Bucarest per il rimpatrio assistito dei romeni: un contributo di circa 200 euro al mese per chi decide di tornare in patria. «Legalità e solidarietà». Queste del resto le parole chiave della politica messa in atto dal sindaco di Roma e che, a due anni e mezzo dall'inizio del suo mandato comincia proprio in questi giorni a trasformarsi in realtà con lo sgombero dei primi 200 micro accampamenti della Capitale. Una politica che Alemanno vorrebbe «esportare». «Il nostro modello è fortemente diverso da quello francese - ha commentato pochi giorni fa - Non abbiamo alcuna intenzione di inserire tetti o limiti di residenza per le espulsioni. Queste vanno fatto solo nei casi di illegalità: fuori dall'Italia solo chi commette reati e questo dovrebbe valere anche per i cittadini comunitari. Il nostro approccio è profondamente diverso, si fonda sul dialogo con chi vuole l'integrazione, mentre per i francesi questo rapporto interlocutorio non c'è ». Un «modello» quello di Roma che sta suscitando interesse anche a Bruxelles. Stavolta Italia-Francia finisce certamente 1 a 0.