Benvenuti nel mondo di Londonistan
Londra non è più la sfavillante madre e maestra imperiale di un tempo, padrona dei mari e flagello dei giacobinismi, in cui il mosaico delle etnie era un fatto, non un desiderio iperuranico, segno di potere concreto e di gloria vera. Oggi è uno colossale slum, sfigurato da quegli esperimenti utopici d'ingegneria sociale chimerica che sono stati prodotti dal relativismo molesto accarezzato sia dalla destra (con la minuscola) di John Major sia dalla Sinistra (con la maiuscola) di Tony Blair, e che però ancora nessuno si prodiga per fermare. Anzi, un antro di lupi, come una corrispondente che per ovvie ragioni vuole restare anonima mi racconta da anni aggirandosi, cronista dilettante, in quell'enorme zona non mappata da nessuna carta che è il «quartiere islamico» di Londra fra gente che liberamente inneggia allo jihad ceceno, tranquillamente urla inferocita slogan antisemiti durante manifestazioni che i fratelli musulmani si autorizzano da sé, disinvoltamente adora Osama bin Laden e i talebani, normalmente si camuffa sotto una kefiah sempre più inquietante. Ieri all'alba Scotland Yard ha arrestato lì cinque musulmani di origine algerina che con tutta probabilità complottavano di assassinare Papa Benedetto XVI: è solo l'apogeo di una disastro da tempo annunciato, per esempio dal noto quanto inascoltato Londonistan: How Britain is creating a terror state within (edito da Gibson Square a Londra e da Encountr Books a New York), un campanello di allarme pubblicato dalla giornalista Melanie Phillips nel 2006 (e curiosamente mai tradotto in italiano) che, dopo gli attentati jihadisti avvenuti nella capitale britannica il 7 luglio 2005, squarciò quel velo di politicamente corretta omertà che copre la realtà grave dell'islamismo d'Albione. Se ne rileggano le pagine dove la Phillips snocciola i dati di un rapporto redatto dal ministero degl'Interni del 2004 dove stava scritto che il 26% dei musulmani dell'Isola non prova lealtà verso la Gran Bretagna, il 13 sostiene il terrorismo e l'1 è impegnato in esso o in attività collaterali. Dove però quell'1% è un allarmante numero di 20mila persone... Talora scappa da ridere, di nervi, nel seguire la Phillips che ricorda come, dopo gli attentati del 2005, il capo della polizia londinese ci tenne a dire che quegli atti andavano tenuti separati dall'islamismo nonostante l'islamismo li rivendicasse orgogliosamente e veritieramente al di là di ogni ragionevole dubbio. O si freme nel riapprendere da lei che i vertici della Chiesa Anglicana intendevano invitare le famiglie degli attentatori nella Cattedrale di San Paolo per le esequie di quei «martiri di Allah». Come scordare che proprio dal Londonistan sono partiti indisturbati i Richard C. Reid, lo shoe-bomber di Al Qaeda che nel 2003 si ficcò un ordigno in una scarpa mirando a polverizzare un volo dell'American Airlines, e che il cittadino francese Zacarias Moussaui, il probabile «dirottatore mancante» dell'Undici Settembre ora in carcere negli Stati Uniti, si è diplomato alla South Bank University di Londra frequentando assiduamente la moschea salafita di Gresham Road a Brixton, quartieri sud di Londra? O dimenticare che, siccome il pesce puzza sempre dalla testa, «in America le Chiese sono in prima linea nella difesa dei valori occidentali. (...) In Gran Bretagna, per contrasto, la Chiesa Anglicana è in prima linea nella ritirata dall'eredità giudeo-cristiana» (Phillips), motivo per cui da quelle parti i nemici dell'Occidente si sentono a casa propria? Il multiculturalismo è morto ammazzato da una bomba fanatica e a Londra lo piangono solo certi preti e certi politici. La gente normale non ne ha il tempo, deve barricare porte e finestre.