Così Alemannò ha dato la linea
Legge e ordine. L’Europa è pervasa da un enorme senso di insicurezza. Nel Vecchio Continente la percezione che siamo a un punto di svolta è chiara. I popoli non razionalizzano i movimenti epocali, ma li sentono e interpretano in vari modi. La «massa», termine chiave dell’opera di un grande scrittore del Novecento come Elias Canetti, ha comportamenti che sono la cartina di tornasole della Storia. Quando Nicolas Sarkozy arriva alla riunione del Consiglio dei capi di Stato d’Europa è già tutto chiaro. S’apre la riunione e attacca duramente una Commissione Ue chiusa nella turris eburnea della burocrazia, una casta lontana dalla realtà quotidiana. Il presidente francesce manda a quel paese il capo della commissione, il portoghese Manuel Barroso, non perché gli sia antipatico, ma per il semplice fatto che chiedere il rispetto delle leggi alle comunità Rom non può essere paragonato senza vergognarsi (e a mio avviso dimettersi) alle deportazioni degli ebrei. Sarkozy ha battuto i pugni, urlato in faccia agli ignavi dell’euroburocrazia che non si possono piegare il presente e il passato agli egoismi di chi pensa che l’immigrazione sia problema dei soliti noti. Tra questi, l’Italia. Come spiega magistralmente Marlowe, Berlusconi ha fatto bene ad appoggiare Parigi. E in fondo, l’Italia è stato il Paese guida della politica di legge e ordine su questo terreno: il sindaco di Roma ha mostrato un coraggio solitario quando ha sgomberato il campo nomadi più grande d’Europa, il Casilino 900. Sarkozy ha preso lezioni da Alemannò. Quando arriverà la fine della sindacatura di Alemanno, si dovrà tener conto di questa posizione, di questo visione chiara e anticipatrice del problema. Il sindaco della Capitale ha visto per primo uno dei nodi della contemporaneità, la frattura sociale che si allargava. E ha cominciato a porre il problema, escogitare delle soluzioni. Alemanno ha avuto il coraggio di guardare in faccia una questione scomoda. La via più facile per lui sarebbe stata quella di voltare lo sguardo, fare come Ponzio Pilato e lavarsene le mani. Non avrebbe fatto un buon servizio alla comunità di Roma, ma avrebbe guadagnato buona stampa, il sostegno di una parte consistente della Chiesa, l’appoggio di associazioni che hanno in mente solo l’assistenza (preziosa) ma non riescono a trasformarla in integrazione. Il primo cittadino ha capito invece che questo approccio, figlio di una visione della società utopistica, avrebbe corroso in breve tempo il tessuto della Capitale. Meglio affrontare le cose con schiettezza, meglio scartavetrare in faccia agli alfieri del politicamente corretto una verità scomoda e sperimentare una nuova politica. L’Italia ha fatto da apripista, Berlusconi ha interpretato alla perfezione il ruolo del nostro Paese e con una mossa puntuale sul piano della politica estera ha messo, ancora una volta, il nostro Paese al centro della scacchiera geopolitica del Vecchio Continente. Roma resta il cuore dell’Europa, ne sentiamo il battito costante, i sussulti, le impennate e discese. La Storia si diverte a giocare a dadi e tutto questo accade mentre il Pontefice a Londra porta la voce della Chiesa nella terra dello scisma. Ancora una volta, Roma al centro delle relazioni internazionali, dei grandi movimenti di pensiero, delle rivoluzioni culturali. Se solo il centrodestra sapesse interpretare al meglio questi eventi, sistemarli in un mosaico coerente, dar loro una cornice culturale e trasformarli in politica, la rivoluzione conservatrice sarebbe una realtà. E invece dobbiamo registrare un ritardo colpevole. Non è mai troppo tardi, ma la classe dirigente che anima questa città, deve rendersi conto che non esistono soluzioni politiche senza un’elaborazione culturale di fondo. Il Tempo su questo dibattito si sta impegnando a fondo, dà colpi di spada, incoraggia gli intellettuali del centrodestra ad uscire allo scoperto, lasciarsi alle spalle i timori reverenziali, abbandonare le piccinerie di clan, le ansie di accreditamento a sinistra e lavorare per costruire, ora o mai più, una comunità di pensiero forte, identitario, nazionale, capace di traghettare il Paese dalla transizione alla rivoluzione conservatrice. Per questo Berlusconi deve essere stimolato tutti i giorni a non impegnare le sue energie solo nella tattica politica, ma a disegnare una strategia per dare un senso politico ai prossimi tre anni di legislatura. Quello dell’immigrazione è uno dei temi chiave, altri verranno al pettine. Sono i temi che più appassionano i cittadini, attraversano la vita quotidiana, ci chiamano a dare una risposta concreta. Alemanno sui Rom e la politica dell’immigrazione ha fatto la scelta giusta all’inizio del mandato. Vada avanti. La sua intuizione è ora patrimonio politico del Paese dei Lumi, la Francia. Liberté, Égalitè, Fraternité. E rispetto della legge. Quella che due cinquantenni, Sarkozy e Alemannò sbattono in faccia agli ipocriti, la legge uguale per tutti.