Berlusconi lavora alla fiducia allargata
Asse con Sarkozy, rapporto sempre più stretto con Bossi e Fini sempre più nel dimenticatoio. Nella festa del Pdl che comincerà tra una settimana a Milano (pochi giorni prima che il premier vada in aula sugli oramai famosi cinque punti) non è previsto nessun ospite di sinistra e nessun ospite finiano. Che ormai nella liturgia berlusconiana sono messi sullo stesso piano.Ci saranno invece i leghisti, ai quali sarà data voce in una delle giornate. E anche questo, nel suo piccolo, ha la sua importanza anche perché è stato cancellato il comizio finale in piazza Duomo - proprio per non depauperare la kermesse - e anche per lasciarsi, come ha spiegato Ignazio La Russa, la possibilità di un evento popolare più grande a Roma in autunno nel caso in cui la situazione dovesse precipitare. Nel frattempo, Berlusconi oggi partirà per Bruxelles dove si svolgerà il Consiglio europeo. E ci arriverà forte di un asse proprio con il presidente francese: «Sto con Sarkozy, il commissario Reding non doveva parlare», ha detto in un'intervista a Le Figaro sulla polemica tra la Francia e il commissario Ue (ne riferiamo in altra pagina). «Speriamo che la convergenza italo-francese - afferma Berlusconi - aiuti a scuotere l'Europa e ad affrontare il problema». E infine si è detto convinto che con Sarkò condivide la stessa idea dell'Europa, «l'Europa dell'azione». Nella stessa intervista con il quotidiano transalpino, il premier italiano ha spiegato che l'uscita dalla crisi economica è vicina e si è detto certo anche di arrivare a fine legislatura. Politica estera e politica interna si intrecciano su tutti i fronti. Nelle stesse ore infatti il Cavaliere si concede una pausa per completare qualche canzone con Mariano Apicella e quindi prepara il discorso che presenterà in Parlamento. Il Cavaliere sembra sempre più convinto di volersi rivolgere ai moderati, in particolare a Pier Ferdinando Casini che pure gli ha offerto pubblicamente la disponibilità a sostenere provvedimenti del governo. Sulla giustizia, per esempio sullo scudo giudiziario al presidente del Consiglio. Sull'economia, visto che l'Udc reclama provvedimenti chiari come il quoziente familiare o qualcosa di simile. L'appello alla Nazione è la soluzione che gli viene suggerita dal gruppo di Liberamente, guidato da Franco Frattini e Mariastella Gelmini. E nelle ultime ore anche da Beppe Pisanu. Un'ipotesi che scongiurerebbe l'opa (l'offerta pubblica d'acquisto) su finiani e casiniani pur di costituire il gruppo di Responsabilità nazionale. Sul quale comunque il Cav non ha perso tutte le speranze. «Nessuno vuole chiudere la legislatura - dice un deputato vicino al premier -, anche perché se si interrompesse salterebbero per molti anche le pensioni, il cui tetto adesso è fissato a cinque anni e non più a due e mezzo. C'è anche qualche peones di sinistra che s'è offerto di darsi malato nei voti a rischio per la maggioranza. Il clima è questo». In effetti, la giornata ieri in Transatlantico - la vera "prima" dopo la pausa estiva - è stata caratterizzata da capannelli, conciliaboli, corteggiamenti tra finiani e pidiellini. Al punto che Marcello De Angelis, un ex finiano rimasto con il Pdl, a un certo punto esce a prendere una boccata d'ossigeno e nel bel mezzo di piazza Montecitorio sbotta: «Non credevo di essere così importante. Chi mi invita a prendere un caffè, chi mi invita a pranzo, chi si va vivo per la cena. Roba da matti». Poi la butta a ridere: «Fra poco mi metto all'asta su e-Bay». Insomma, anche stavolta la politica si ferma in attesa delle mosse di Berlusconi. Delle sue finte. Dei suoi bluff che potrebbero essere veri. Proprio per questo Fini ha più o meno ordinato ai suoi di parlare il meno possibile, di non dare il destro a provocazioni, di evitare qualunque battuta. Niente di niente. Il momento è delicato e in questa fase qualunque scaramuccia potrebbe tracimare. Come spiega in un'intervista a Linea uno che conosce bene Fini, il professor Marco Tarchi, (che era candidato al suo posto a prendere la guida dei giovani di destra alla fine egli anni Settanta) a Gianfranco «credo non convenga far cadere il governo prima di aver organizzato il suo partito. Gli fa molto più gioco logorarlo con critiche quotidiane, anche perché la posizione in cui si è collocato gli è valsa un vantaggio non da poco: può attaccare Berlusconi sui suoi punti deboli ergendosi a custode della legalità, della tolleranza, della laicità e del rispetto della Costituzione, senza aver bisogno di chiarire cosa farebbe al suo posto».