Bersani? Dopo Miss Italia
Secondo Plinio il vecchio l'unica certezza della vita è che "nulla è certo". Altri tempi. Ormai nella vita politica italiana esistono alcuni appuntamenti fissi. Cambiano le stagioni, i volti, i problemi, ma loro restano lì. Unica certezza nella civiltà del relativismo. Uno di questi è sicuramente la festa nazionale dell'Unità (qualcuno ha provato a minarne le fondamenta cambiandole il nome in Festa democratica, ma lei resiste). E con essa il comizio finale del segretario del principale partito dell'opposizione. Anche qui esistono eccezioni che confermano la regola. Lo scorso anno, ad esempio, il leader del Pd era Dario Franceschini ma rinunciò a chiudere la festa nazionale per non essere accusato di essersi preso un vantaggio rispetto ai suoi sfidanti alle primarie. Comunque, di certo c'è che quando il segretario parla, l'Unità dà ampio risalto all'evento. Nel 2008 ad esempio, con alla direzione Concita De Gregorio, Walter Veltroni conquistò il titolo di prima pagina con un messaggio che avrebbe cambiato le sorti del Paese: basta risse nel Pd. Nel 2007, direzione di Antonio Padellaro, toccò a Piero Fassino: «Nel Pd rigore, moralità, trasparenza». Entrambi, ovviamente, seguiti da servizi alle pagine 2-3. E quest'anno? Pier Luigi Bersani ha mantenuto il suo posto riservato in prima pagina, ma non è l'apertura del giornale che è invece dedicata alla protesta dei precari della scuola. Certo, il leader democratico strappa una citazione di due righe opportunamente richiamata («Senza il sapere il lavoro di domani non c'è. Il sapere è tradito in Italia»), ma per conoscere cosa abbia detto nel suo comizio conclusivo a Torino bisogna arrivare fino a pagina 10. Subito dopo l'articolo dell'inviato a Salsomaggiore per Miss Italia (titolo: «Nella città delle miss-cloni l'illusione del collocamento»). Ora è giusto notare che il formato del quotidiano non è più quello di due anni fa (quando peraltro, sempre in prima pagina, De Gregorio dedicava il suo editoriale ai precari della scuola). E comunque ogni direttore ha massima autonomia nel decidere la gerarchia delle notizie. Ma è altrettanto giusto notare che Bersani ripete da mesi le stesse cose. Non a caso il titolo dell'Unità è «Il governicchio non durerà». Concetto già espresso il 18 giugno («Non credo possano durare altri tre anni»), il 23 giugno («Penso che tre anni sono troppo lunghi per questo equilibrio di maggioranza e di governo»), il 2 luglio («il governo fa fatica a reggere»), l'8 luglio («Non reggeranno tre anni»), il 10 luglio («siamo al secondo tempo del film. Io non so quanto possa durare»), il 16 luglio («Il governo Berlusconi non arriva a tre anni»), il 30 luglio («È sempre difficile dire quanto possa durare la respirazione artificiale ma il governo non c'è più»), il 3 settembre («non credo che la legislatura possa andare alla sua scadenza naturale»), il 10 settembre («Il governo è in fase di esaurimento»). Sarà forse per questo che anche un altro quotidiano «d'area» come Repubblica, con un formato ben più corposo, relega il segretario a pagina 10 a conclusione del treno delle notizie politiche e giusto prima dell'Atlante politico di Ilvo Diamanti che, tra le pieghe dei sondaggi, nasconde alcune interessanti notizie. La prima è che mentre il Pdl scende sotto il 30% (29.8%), il Pd tocca quota 26,5%, mezzo punto meno di giugno. La seconda riguarda il gradimento dei leader: in testa c'è Giulio Tremonti con il 45.8% ma in discesa di quasi sette punti negli ultimi tre mesi, secondo Nichi Vendola (45.5%), terzo Sergio Chiamparino (44.6%). Cioè i principali competitor di Bersani che guadagna lo 0.3% ma si ferma al 40.2%. Proprio come Pier Ferdinando Casini. E siamo al Corriere della Sera. Anche qui si ripete la «maledizione» di pagina 10. E così dopo la scuola, dopo il ministro Gelmini che dice no al marchio della Lega sui banchi di un istituto di Adro (Bs), dopo Umberto Bossi, dopo Silvio Berlusconi e dopo Casini, ecco il leader democratico. Con una gentilezza: nella pagina a fronte, la cosiddetta pagina di rispetto, un articolo su Veltroni che sta pensando di costituire gruppi autonomi sul modello dei finiani. Un modo carino per ricordare a Bersani che c'è sempre qualcuno che sta cercando di segargli la sedia.