Il Pd rispolvera la tassa sui ricchi
{{IMG_SX}}Ci riprovano. I nobili economisti del Pd hanno suggerito al segretario Pierluigi Bersani la soluzione per i problemi economici. Sempre la stessa e già fallita: tassare i patrimoni e le rendite finanziarie. Ad annunciare il ritorno della tassa che colpirà duramente i ricchi, cattivi e padroni per antonomasia, è stato ieri Pierluigi Bersani, segretario del Pd, nel corso del comizio conclusivo a Torino della festa del partito. «Serve una profonda riforma del fisco i cui paletti essenziali sono: spostare il carico fiscale dal lavoro, dall'impresa e dalla famiglia con redditi medio-bassi verso l'evasione fiscale o verso i redditi da finanza e da patrimonio». Per il segretario del più grande partito di centro sinistra italiano non è possibile «che l'aliquota del primo scaglione di un lavoratore sia più alta dei redditi da finanza e da patrimoni». Anche lui dunque colpito dalla sindrome dello smemorato. Sì, Bersani è uomo di economia prima di essere politico. Tutti lo ricordano come valente ministro dello sviluppo economico e propositore delle lenzuolate ispirate a principi di sano liberalismo. Talmente «pop» da essere ancora identificate con il suo nome. Ora però ha dimenticato tutto. Quando parla di tassare le rendite finanziarie (vedi titoli di stato, azioni e i rendimenti dei fondi) Bersani ha dimenticato che l'Italia è uno dei paesi con il più alto tasso di risparmio e che se non tutte, la stragrande maggioranza delle famiglie, nonostante la crisi ha continuato a investire e accantonare parte del proprio reddito. La stragrande maggioranza significa anche buona parte del suo popolo. E lo stesso vale per la patrimoniale. Che tra i beni che mette nel mirino ha la casa, anche in questo caso, già acquistata da oltre il 90% degli italiani. Insomma sebbene vessata e stritolata la classe media in Italia è ancora una parte importante della società. E possiede una buona fetta della ricchezza finanziaria del Paese, sudata e messa da parte per il futuro dei propri figli, altro che ricchi. Bersani questo lo sa. Eppure continua a considerare il risparmio un indice di sfruttamento padronale. Chi ha investito non è certo l'operaio o il piccolo artigiano, dunque va colpito. Paghi di più. Non c'è niente da fare anche il segretario Pd è rimasto vittima della visione di un'economia ottocentesca, quella dello sfruttamento del proletariato, anticamera della realizzazione dell'economia collettivistica. Ora del comunismo è rimasto un cumulo di macerie: quelle del muro di Berlino. Ma la visione dei pensatori economici della sinistra lettori appassionato de «Il Capitale» di Karl Marx è rimasta sempre la stessa: «Togliere ai ricchi per dare ai poveri». Peccato che la storia sia andata avanti. E anche i proletari siano riusciti a comprarsi una casa e forse anche la seconda grazie ai potenti mezzi offerti dal capitalismo finanziario come il mutuo con ipoteca. Non è poi detto che anche gli operai non siano riusciti a costruirsi un giardinetto di titoli di stato per integrare il loro stipendio o la loro pensione. Non solo. Bersani è stato al governo e conosce meglio dei suoi pensatori economici le dinamiche dei conti pubblici italiani. Nel solo mese di settembre andranno a scadenza 160 miliardi di Bot e Cct italiani. La gran parte è in mano agli investitori internazionali e gli Stati fanno a gara per attrarli in un momento di crisi finanziaria latente. L'aumento delle tasse sui proventi legati ai titoli di stato annunciato da Bersani aumenterebbe la propensione alla fuga degli investitori con danni irreparabili per la gestione del debito pubblico. Insomma la tassa sulle rendite in un mondo così globalizzato non avrebbe molto senso. Ma fa scalpore, rinfocola l'idealismo di sinistra a favore dei meno abbienti. E va sostenuta anche a costo di perdere i voti della classe media. Che ancora conta in Italia se si andasse a elezioni. Proprio quelle che Bersani ha evocato a Torino: «Niente governicchi che avrebbero un'opposizione durissima ma un esecutivo di transizione per riscrivere la legge elettorale e andare a votare». E la carta che il Pd utilizzerà per affrontare le urne è un Nuovo Ulivo, che non sia la replica dell'indigesta Unione, bensì una alleanza «affidabile» per il governo del Paese. Bersani ha infiammato la folla: non solo critiche per le politiche del governo, ma attacco soprattutto il «berlusconismo», con il suo «ghe pensi mi» che all'Italia «non ha portato nulla», se non una regressione civile oltre che economica. Il segretario ha lanciato la necessità di una «grande riscossa italiana», che parta dalla riscoperta del lavoro e dello spirito civico. Così si chiama ora la mano che entrerà presto nelle tasche degli italiani con la patrimoniale targata Pd.