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Quegli avvoltoi sopra Silvio

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Il premier Silvio Berlusconi

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Avvoltoi e iene si alternano contro gli ostinati tentativi di Silvio Berlusconi di rianimare questa legislatura gravemente compromessa dal lavorio ai fianchi del Cavaliere condotto per più di due anni dal presidente della Camera. E che è sfociato nella clamorosa rottura di fine luglio tra i due co-fondatori del maggiore partito italiano. Gridano contro l'impegno di Berlusconi, sino a dargli del «malato psichico», come ha fatto il solito Antonio Di Pietro, anche quelli che sino a qualche giorno fa dall'opposizione lo accusavano di non vedere l'ora di trascinare il Paese nella brutta «avventura» delle elezioni anticipate, incurante delle aste dei Bot, dei pericoli di speculazione finanziaria, dei vuoti di potere e di tutti gli accidenti che, a torto o a ragione, sono abitualmente prospettati in un passaggio traumatico come sicuramente è uno scioglimento prematuro delle Camere. Per non parlare naturalmente dell'accusa, anch'essa rivolta al presidente del Consiglio sino a qualche giorno fa, di volere «attentare» alle prerogative costituzionali del capo dello Stato, l'unico a poter mandare a casa anzitempo i senatori o i deputati, o entrambi, e chiamare in anticipo gli elettori alle urne. Quando Berlusconi li ha spiazzati mettendosi all'opera per cercare di allontanare l'ipotesi delle elezioni gli avversari sono diventati ancora più furiosi. Non era e non é la sorte della legislatura evidentemente a preoccuparli, con annessi e connessi. Li ossessionava, e continua ad ossessionarli, solo l'idea di un Cavaliere capace di succedere a se stesso con le elezioni anticipate o di rimanere al suo posto in una legislatura salvata per i capelli, o per il rotto della cuffia. Come potrebbe accadere se gli riuscisse il tentativo, sicuramente difficile ma al quale egli si è impegnato con la sua solita ostinazione, di estendere in Parlamento i confini della maggioranza di quel tanto che gli potrebbe bastare per sottrarsi, specie alla Camera, al cappio dei finiani. I quali, con il loro capo corso ad Ottawa per il cosiddetto G8 parlamentare, hanno scoperto il fascino del modello del Canada. Dove un premier conservatore, mancandogli sei seggi alla maggioranza assoluta in Parlamento, deve guadagnarsi ogni giorno su ogni provvedimento la propria sopravvivenza politica. È un lusso che il Canada, con il suo sistema istituzionale e sociale, e le sue condizioni economiche, si può evidentemente permettere, ma non certamente l'Italia. Dove basta uno starnuto della Cgil o l'avventata iniziativa di una Procura della Repubblica per far salire la temperatura politica. Secondo Lor Signori dell'Opposizione, senza distinzione fra riformisti, veri o presunti, e massimalisti, fra moderati e radicali, fra post-comunisti e post-democristiani, o fra Pier Ferdinando Casini e Pier Luigi Bersani, tanto per fare i nomi di due che hanno parlato ieri, Berlusconi non avrebbe oggi altro dovere, o diritto, che dimettersi. Togliere il disturbo e mettersi praticamente da parte, sperando magari che il presidente della Repubblica gli affidi generosamente l'incarico di tentare la formazione di un nuovo governo, con una maggioranza più estesa di quella uscente. In mancanza della quale – e ci vorrebbe poco, a crisi aperta, a negargliela – potrebbero aprirsi altre strade per fare proseguire la legislatura, cambiare la legge elettorale e chiamare gli italiani alle urne solo quando Lor Signori si sentissero in migliori condizioni di gara. Questo, e non altro, è il piano degli avvoltoi e delle iene che, rispettivamente, volteggiano sul Cavaliere o ne assediano e contrastano i tentativi, come dicevo, di rianimare la legislatura senza perderne la guida. E di rianimare, con la legislatura, il patto stretto più di due anni con gli elettori, che gli hanno confermato la fiducia ogni volta che ne hanno poi avuto l'occasione. Quisquiglie, evidentemente, per gli aspiranti, vecchi e nuovi, di sinistra, di centro ed ora anche di presunta destra, ad un immaginario ma sicuramente confuso post-berlusconismo.

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