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Udc, lo strappo dei siciliani

Pier Ferdinando Casini

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Lo strappo arriva alle cinque del pomeriggio nel tendone delle terme di Chianciano proprio mentre a fianco, nel grande gazebo, l'orchestrina comincia a suonare il liscio per le coppie di anziani che sono giunte dai paesi vicini. Fa caldo e alla festa dell'Udc inizia a salire. Che stia per succedere qualcosa lo si capisce dall'intervento di Giorgio La Malfa che va sul palco e nel mezzo di un dibattito dai toni soft attacca duro: «Ascari. Che altro sono se non ascari? Ascari quei deputati del Sud che si apprestano a dare sostegno a un governo nordista guidato da Bossi. Vergogna». Sembra un inutile fulmine a ciel sereno. E invece tutto appare più chiaro quando subito dopo viene chiamato a parlare Saverio Romano. Chi è? È il segretario dell'Udc in Sicilia, una delle regioni dove Casini è più forte. La pattuglia dalla Trinacria è composta da cinque deputati: oltre a Romano ci sono anche Giuseppe Naro, Peppe Drago, Calogero Mannino, Giuseppe Ruvolo. È il gruppo di Totò Cuffaro (che invece è senatore) ma in sala non ci sono nè lui nè Mannino, e la loro assenza va letta come una presa di distanza dal partito della Nazione che Casini s'appresta a lanciare proprio stamattina. Romano si presenta casual, senza giacca, camicia bianca con le maniche arrotolate. E per prima cosa mette in chiaro le cose. Rcconta che è figlio di un panettiere dal quale ha imparato l'onestà e la lealtà. Tutto ciò per rispondere a La Malfa: «Non esiste un prezzo per comprare la mia libertà». Quindi ammonisce: «Non cambio bandiera ma La Malfa non si accodi a questa visione della classe dirigente del Mezzogiorno, non si accodi al vento nordista». Chiusa la polemica iniziale il leader dei siciliani centristi rivendica che «l'opzione della seconda opposizione è nata il 2 dicembre 2006 a Palermo». E attacca Fini: «Non mi sono gli applausi nei suoi confronti. La partita di Gianfranco Fini è tutta interna al Pdl - dice Romano - ma non posso che ammettere che non credo ai ripensamenti di Fini, convinto come sono che spesso le partite interne possono essere mascherate da nobili principi: dov'era Fini, dov'era il Pd quando il nostro partito conduceva una giustissima battaglia per il ripristino delle preferenze? Noi e Fini siamo due cose diverse, al netto delle copiature che ci ha fatto». Finita questa premessa entra nel merito e domanda retoricamente: «Possiamo trovare ragioni di alleanza con il Pd? Sarebbe impensabile». Insomma, se Casini va a sinistra i siciliani non ci stanno. Meglio guardare dall'altra parte. Romano si dice «contrario alla formazione di un terzo polo che sia solo un mero contenitore e che non sia invece il frutto di un progetto politico condiviso». Per il leader Udc siciliano bisogna cercare di «rappresentare un interlocutore credibile per quel 30% di cittadini italiani, per quel ceto di moderati che non si sentono oggi politicamente rappresentati. Occorre evitare di gettare Berlusconi nelle braccia di Bossi, ma allo stesso tempo dobbiamo giudicare il premier per quello che fa o non fa e non per i suoi problemi interni». D'altro canto, ci tiene a sottolineare, «è stato proprio Casini a chiedere a Berlusconi di venire in aula a riferire sulla crisi economica e a fare una appello alla responsabilità nazionale». Boccia le ultime scelte parlamentari che il partito ha fatto. E cita due casi: il disegno di legge sulle intercettazioni (l'Udc ha votato contro) e la sfiducia al sottosegretario alla Giustizia Caliendo (i casiniani si sono astenuti). E non è un caso che i siciliani siano sensibili proprio su questa materia visto che Mannino è appena uscito indenne da una lunga vicenda giudiziaria durata diciassette anni e Cuffaro invece ha ancora sulle spalle una condanna a sette anni. Romano sentenzia: «Sono più garantista di Berlusconi. Ci sono pm che si sono intromessi nella vita politica». Osserva con un certo disgusto il frastuono che si sviluppa in sala nelle prime file. Si agitano i fotografi, flash in sala mentre - guarda caso - entra il fianiano Italo Bocchino. Romano non si perde e rilancia. Offre a Berlusconi un patto per cambiare la legge elettorale. Ma ormai è chiaro che tra questo pezzo dell'Udc e il Cavaliere c'è feeling. C'è feeling sulla giustizia. E feeling sulle materie economiche visto che il segretario centrista siciliano sottolinea in più passaggi un argomento che era stato tirato fuori dal governatore Draghi e fatto proprio dallo stesso premier. Ovvero che siamo alla vigilia di una serie di aste di Bot e titoli di Stato ed è importante dae segnali di stabilità soprattutto all'estero visto che il Paese potrebbe essere esposto all'assalto di speculatori finanziari internazionali in caso di crisi politica. Forse è presto per parlare di vero accordo politico. Ma quel che appare evidente è che Berlusconi è molto vicino a ottenere i 316 voti necessari per ottenere la fiducia alla Camera anche senza finiani (che tuttavia hanno confermato che gli daranno i loro sì). Se l'operazione gli riuscisse avrebbe allargato la maggioranza con un duplice effetto. Da un lato, almeno per il momento, avrebbe reso irrilevante Fini che con i suoi 34 voti sarebbe nelle condizioni oggi di costringere alla trattativa provvedimento per provvedimento. E allo stesso tempo al Cavaliere riuscirebbe di indebolire Casini e il nascente terzo polo. Anche se i siciliani gli dovessero offrire, come appare probabile, un appoggio su singoli provvedimenti e non un ingresso organico nel centrodestra.

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