Carroccio contro la Capitale Tanto rumore per nulla
Goethe lo aveva capito quasi 300 anni fa, quando scriveva: «Roma è la capitale del mondo!». I leghisti no, non l'hanno ancora capito. Da anni ci tartassano con il loro «Roma ladrona». Che resta un ottimo slogan elettorale per scaldare i cuori dei popoli padani visto che, alla prova dei fatti, si è dimostrato quanto mai inefficace. Per capirlo basta guardare alla storia degli ultimi mesi. Dal Gran Premio di Roma alle Olimpiadi i leghisti non hanno vinto una battaglia. Eppure non si sono certo risparmiati. Difficile, ad esempio, non ricordare l'emendamento al decreto sulla fine dell'emergenza in Abruzzo in cui i senatori del Carroccio Cesarino Monti, Giuseppe Leoni e Massimo Garavaglia chiedevano di non svolgere «gare motoristiche competitive su circuiti cittadini nei complessi monumentali». Non se ne fece nulla. E oggi che Bernie Ecclestone annuncia trionfante l'accordo per il Gp della Capitale, fa sorridere pensare che a Monza, alla riunione tra il patron della Formula Uno e Maurizio Flammini, abbia partecipato anche il figlio del Senatùr Riccardo. Tu quoque! Certo il primogenito del leader leghista fa il pilota di rally ed è amico dei due, ma la sua dichiarazione non farà certo piacere a papà Umberto: «Il Gran Premio di Monza deve restare perché è un patrimonio dello sport automobilistico mondiale. Il futuro Gp di Roma non lo "ucciderà"». E le accuse alla Capitale che spende e spande i soldi del Nord per i propri comodi? Svanite nel nulla. Un po' la stessa fine che hanno fatto le urla leghiste sulla candidatura per le Olimpiadi 2020. Poco importa che Venezia fosse assolutamente inadatta ad ospitare l'evento (in fase di valutazione beccò ben quatto zero). A verbale restano gli attacchi «all'arroganza» della politica romana, l'accusa che si sia trattato di una votazione truccata e anche un'intemerata a Alessandro Profumo colpevole di essere allo stesso tempo amministratore delegato di Unicredit (una banca che trae la sua «linfa vitale soprattutto dal Nord Est» fece notare il governatore veneto Luca Zaia) e membro del comitato Roma 2020. Per il Carroccio, oltre alla scelta della Capitale, valgano le parole pronunciate ieri dal Capo dello Stato Giorgio Napolitano durante la celebrazione dei 50 anni di Roma 1960: «Io come il presidente Petrucci ho un sogno che è il sogno di tutti noi. We have a dream. I sogni sono soggetti a imprevedibilità, ma il nostro sogno si basa su un terreno concreto. Quello che Roma ha mostrato di poter fare nel 1960 e che è pronta a mostrare di nuovo». Ma il popolo delle camicie verdi, si sa, non si rassegna tanto facilmente. E così ecco spuntare l'ennesima crociata anti-romana. A lanciarla è Umberto Bossi in persona. «Il federalismo è fatto, adesso passeremo al decentramento. Sposteremo dei ministeri nelle città del Nord e anche al Sud, perché no, non va bene che siano tutti a Roma. Faremo come in Inghilterra i ministeri vanno distribuiti perché tutti possano avere del benefici, e questo è tanto più importante in questo periodo di crisi». Immediata la replica del governatore del Lazio Renato Polverini: «L'idea di spostare ministeri da Roma in altre città non ha nulla a fare con il federalismo e un'eventuale ipotesi in questo senso non potrebbe che trovarci contrari. L'idea di federalismo per la quale tutti siamo impegnati è quella di un federalismo solidale, più volte richiamata anche dal Capo dello Stato, che certamente non ha tra i suoi obiettivi quello di scardinare la geografia dei ministeri che per ovvie ragioni sono collocati nella città in cui l'attività politica e di governo del Paese trova la sua espressione. Proprio come a Milano pulsa il cuore dell'economia e della finanza, è come se chiedessimo di portare a Roma la sede della Borsa...». Si accettano scommesse su come andrà a finire.