Gianfranco contro Fini
Un bel discorso. Anche piuttosto trasversale. A Mirabello Gianfranco Fini non ha deluso le aspettative. Peccato però che la logica in molti passaggi del suo «manifesto politico» sia stata piuttosto trascurata. Fini è partito dalla «espulsione» dal Pdl. È la base su cui poggia il ragionamento dell'ex leader di An. La colpa non è mia, ha detto il numero uno di Montecitorio, «non c'è stata alcuna fuoriuscita, scissione, atteggiamento demolitorio» ma solo legittima difesa per l'espulsione dal partito disposta «con un atto illiberale, perché solo nel peggiore stalinismo si può essere messi alla porta perché si dissente, senza contraddittorio». Eppure Fini dimentica che quando era leader di Alleanza nazionale funzionava esattamente così, tanto che, dopo l'«incidente» della Caffettiera, lui stesso fece fuori i colonnelli senza pensarci due volte. Altro che contraddittorio. Ma questo è niente. Perché anche sull'etica Fini va in contraddizione. «Chiamo a raccolta l'Italia che lavora che è poi l'Italia onesta», ha detto. E ha aggiunto: «L'Italia onesta è quella dell'etica del dovere: quella dell'etica che un padre insegna ad un figlio. Il senso del dovere, di appartenza e civico». Giusto. Tutti d'accordo. Peccato che lui non abbia ancora chiarito l'imbarazzante storia dell'appartamento a Montecarlo ereditato da An e venduto a due soldi a una società off shore. Casa dove abita (non s'è capito ancora perché) il cognato, Giancarlo Tulliani. Ad agosto i giornali ne hanno parlato parecchio, come succede a tutti i personaggi pubblici, (cominciando da Berlusconi). Ma Fini non ha mai chiarito. È la solita storia: è troppo rischioso fare i moralisti perché, come diceva Pietro Nenni, «troverai sempre un puro più puro che ti epura». Ma tant'è. Un altro cavallo di battaglia di Fini: «Chi ha incarichi istituzionali - ha detto ieri a Mirabello - deve rispettare tutte le altre istituzioni». Si riferiva al premier Berlusconi e ai suoi modi, spesso impropri, di interagire con il presidente della Repubblica Napolitano. Giusto. Ma non è lo stesso errore che commette un presidente della Camera che fa il capo di una fazione politica? Invece dell'arbitro fa il centravanti che tira in porta ma non c'è nulla di strano. Troppo facile. Sulle politiche sociali si è dilungato. Per Fini «non bisogna avere paura di aiutare i più deboli. Sono i deboli che hanno bisogno di garanzie e non i più forti. Questo per me è il centrodestra e la politica con la p maiuscola». E ha aggiunto: «Interveniamo sul quoziente familiare per far sì che chi ha figli, anziani e disabili a carico abbia un peso fiscale minore». Giusto anche questo. Finalmente qualcuno in Italia si preoccupa della famiglia veramente. Ma perché, però, bisognerebbe credere al Gianfranco in versione Robin Hood se intorno a lui, nella sua «famiglia», girano Ferrari (quella nera del cognato visto l'ultima volta a un autolavaggio di Montecarlo) e case di lusso? Poi ci sono i simboli. A Mirabello Fini ha voluto ricordare Almirante. Non solo. Futuro e libertà ha scelto come colonna sonora «Uno in più» di Battisti, quasi un manifesto politico: «Altre voci piano piano, stan crescendo da lontano, se quel canto vuoi seguire puoi cantare: e così tu sarai uno in più con noi». Eppure Fini ha dimenticato le sue posizioni sull'immigrazione e la bioetica. Le avesse inserite nel suo discorso forse non sarebbe stato così applaudito. Infine, il leader libico Gheddafi. Per il presidente della Camera è stato uno «spettacolo poco decoroso quello con cui è stato accolto un personaggio che non può insegnare nulla né nel rispetto delle donne né nella dignità della persona umana. Da ex ministro degli Esteri conosco le ragioni della real politik, ma non può portare a una sorta di genuflessione nei confronti di chi può ergersi a maestro o punto di riferimento». Peccato, però, ancora una volta, che alla cena organizzata dal governo italiano in onore di Gheddafi in prima fila c'era il viceministro Urso (finiano di ferro). Poteva anche evitarlo se la riteneva una genuflessione. Ma si sa, la logica qui è un optional: «Il Pdl è morto», ha concluso Fini. Ma lui lo tiene in vita e assicura che continuerà a sostenerlo. Mica c'entrerà la bioetica?